Oggi ricorre il 110esimo anniversario della nascita di Madre Teresa di Calcutta, la Santa dei più poveri tra i poveri.
Quando si entra in una chiesa o cappella delle Missionarie della Carità, non si può non notare il crocefisso che sovrasta l’altare, al fianco del quale si trova la scritta: «I thirst» («Ho sete»): qui sta la sintesi della vita e delle opere di Santa Teresa di Calcutta.
Donna di fede, di speranza, di carità, di indicibile coraggio, Madre Teresa aveva una spiritualità cristocentrica ed eucaristica.
Usava dire: «Io non posso immaginare neanche un istante della mia vita senza Gesù. Il premio più grande per me è amare Gesù e servirlo nei poveri».
Questa suora, dall’abito indiano e dai sandali francescani, estranea a nessuno, credenti, non credenti, cattolici, non cattolici, si fece apprezzare e stimare in India, dove i seguaci di Cristo sono la minoranza.
Nata il 26 agosto 1910 a Skopje (Macedonia) da benestante famiglia albanese, Agnes crebbe in una tribolata e dolorosa terra, dove convivevano cristiani, musulmani, ortodossi; proprio per tale ragione non le fu difficile operare in India, uno Stato dalle lontane tradizioni di tolleranza-intolleranza religiosa, a seconda dei periodi storici.
Madre Teresa definiva così la sua identità: «Di sangue sono albanese. Ho la cittadinanza indiana. Sono una monaca cattolica. Per vocazione appartengo al mondo intero. Nel cuore sono totalmente di Gesù».
Buona parte della popolazione albanese, di origine illirica, nonostante abbia subito la sopraffazione ottomana, è riuscita a sopravvivere con le sue tradizioni e con la sua profonda fede, che affonda le radici in san Paolo: «Tanto che da Gerusalemme e paesi circonvicini, fino alla Dalmazia ho portato a compimento la missione di predicare il Vangelo di Cristo» (Rm 15,19). Cultura, lingua e letteratura dell’Albania hanno resistito proprio grazie al Cristianesimo. Tuttavia la ferocia del dittatore comunista Enver Hoxha vieterà, con decreto statale (13 novembre 1967), qualsiasi religione, distruggendo da subito 268 chiese.
Fino all’avvento del tiranno, la famiglia di Madre Teresa elargiva carità e bene comune a piene mani. Preghiera e Santo Rosario erano il collante della famiglia.
Rivolgendosi ai lettori della rivista «Drita», nel giugno del 1979, Madre Teresa disse ad un mondo occidentale sempre più secolarizzato e materialista: «Quando penso a mia mamma e a mio papà, mi viene sempre in mente quando alla sera eravamo tutti insieme a pregare […] Vi posso dare un solo consiglio: che al più presto torniate a pregare insieme, perché la famiglia che non prega insieme non può vivere insieme».
A 18 anni Agnes entra nella Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto: partita nel 1928 per l’Irlanda, un anno dopo è già in India.
Nel 1931 emette i primi voti, prendendo il nuovo nome di suor Maria Teresa del Bambin Gesù, perché molto devota della mistica carmelitana santa Teresina di Lisieux.
Più tardi, come il carmelitano san Giovanni della Croce, sperimenterà la «notte oscura», quando la sua mistica anima proverà il silenzio del Signore.
Per circa vent’anni insegnò storia e geografia alle giovani di famiglie facoltose frequentanti il collegio delle Suore di Loreto a Entally (zona orientale di Calcutta).
Poi arrivò la vocazione nella vocazione: era il 10 settembre 1946 quando avvertì, mentre si recava in treno ad un corso di esercizi spirituali a Darjeeling, la voce di Cristo che la chiamava a vivere in mezzo agli ultimi degli ultimi.
Lei stessa, che desiderò vivere come autentica sposa di Cristo, riporterà le parole della «Voce» nella sua corrispondenza con i superiori: «Voglio Missionarie indiane Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del Mio amore porterebbero a Me queste anime».
Lascia, non senza difficoltà, il prestigioso convento dopo quasi vent’anni di permanenza e da sola si incammina, con un sari bianco (colore del lutto in India) bordato di azzurro (colore mariano), per gli slums di Calcutta in cerca dei dimenticati, dei paria, dei moribondi, che arriva a raccogliere, circondati dai topi, persino nelle fogne.
A poco a poco si aggregano alcune sue ex-allieve e altre ragazze ancora, per poi giungere al riconoscimento diocesano della sua congregazione: 7 ottobre 1950.
E mentre, anno dopo anno, l’Istituto delle Suore della Carità cresce in tutto il mondo, la famiglia Bojaxhiu viene espropriata di tutti i suoi beni dal governo di Hoxha, e, rea del suo credo religioso, viene aspramente perseguitata.
Dirà Madre Teresa, alla quale sarà vietato di rivedere i suoi cari: «La sofferenza ci aiuta a unirci al Signore, alle sue sofferenze» in un’azione redentiva.
Parole forti userà in riferimento al valore della famiglia, primo ambiente, nell’età contemporanea, di povertà: «Qualche volta dovremmo farci alcune domande per sapere orientare meglio le nostre azioni […] Conosco per prima cosa, i poveri della mia famiglia, della mia casa, quelli che vivono vicino a me: persone che sono povere, però non per mancanza di pane?».
La «piccola matita di Dio», per usare la sua autodefinizione, è più volte intervenuta pubblicamente e con forza, anche di fronte a uomini politici e di Stato, sulla condanna dell’aborto e dei metodi di contraccezione artificiali.
Ha «fatto sentire la sua voce ai potenti della terra» ha detto, infatti, Papa Francesco nell’omelia della canonizzazione.
Come non ricordare, allora, il memorabile discorso che tenne alla consegna del Premio Nobel per la Pace del 17 ottobre 1979 ad Oslo?
Affermando di accettare il Premio esclusivamente a nome dei poveri, sorprese tutti per l’attacco durissimo all’aborto, che presentò come la principale minaccia alla pace nel mondo: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa (…). Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me».
Sosteneva che la vita del bambino non nato è un dono di Dio, il maggior dono che Dio possa fare alla famiglia.
Ancora alla cerimonia dei premi Nobel, alla domanda che le venne posta: «Che cosa possiamo fare per promuovere la pace mondiale?», ella rispose senza esitare: «Andate a casa e amate le vostre famiglie».
Morì il 5 settembre (giorno della sua memoria liturgica) 1997 con un rosario fra le mani.