“Non si fa integrazione senza il territorio” è un progetto nazionale finanziato dal Ministero dell’Interno con il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (Fami) che punta a integrare stabilmente persone titolari di protezione internazionali nelle comunità locali: dopo una prima edizione che si era conclusa nel 2018, questa seconda fase – iniziata a luglio 2020 e che si concluderà nell’autunno del 2022 – è guidata ora dal Consorzio Communitas, una rete no profit formata da 25 realtà locali distribuite su tutto il territorio nazionale, che collabora in sinergia con la Caritas Italiana e le Caritas Diocesane.
In questo progetto, che riguarda 14 regioni italiane, l’obiettivo è quello di coinvolgere 450 migranti titolari di protezione internazionale che abbiano portato a termine, da non oltre 18 mesi, percorsi di accoglienza presso progetti SPRAR, CAS ed altri circuiti di accoglienza, quali, in particolare, i Corridoi Umanitari.
Si tratta di un sistema di “accompagnamento all’autonomia” che nasce dalla consapevolezza delle debolezze del sistema nazionale di accoglienza e integrazione Sai che non riesce a realizzare una reale integrazione nel territorio: ad esempio, solo il 20% dei migranti accolti nel sistema Sai riesce poi a ottenere un contratto di lavoro, e più della metà non riesce ad avere un contratto di affitto.
L’inclusione pensata dal Fra Noi interviene nel momento in cui il titolare di protezione internazionale esce dal sistema di accoglienza e si trova a dover “entrare” nella comunità locali, coinvolgendo le comunità in cui i migranti abitano, e facendo forza su risorse e capacità specifiche di ciascuna persona inserita nel progetto.
Una formula che ha già dimostrato di essere efficace, perché riducono i costi di welfare, non generano nuove spese ma utilizzano in modo diverso le risorse già esistenti.
Gli interventi si basano su alcuni pilastri: inserimento lavorativo in aziende, accoglienze in famiglia, autonomia abitativa in situazioni di affitto, housing sociale o cohousing, inserimento sociale nelle comunità locali.
Fondamentale, per la buona riuscita dei percorsi, è il coinvolgimento dei territori: in particolare delle famiglie e le comunità locali, coinvolte nell’accoglienza e nell’accompagnamento della quotidianità e dell’orientamento in un contesto sociale culturale differente da quello di origine; dei proprietari di abitazioni e agenzie immobiliari, che possono favorire la ricerca della casa e il raggiungimento dell’autonomia abitativa; delle aziende, che tramite attivazione di tirocini e assunzioni sono coinvolte nelle azioni di inserimento lavorativo, che permette alle persone di raggiungere l’indipendenza economica.
I progetti di accompagnamento all’autonomia per i rifugiati realizzati nell’ambito del programma FAMI, come il progetto Fra Noi del Consorzio Communitas, sono oggi i luoghi di innovazione nel campo dell’accoglienza e integrazione.
È stato riconosciuto da tutti i partecipanti questa mattina al convegno “L’accoglienza dei migranti tra welfare state e welfare di comunità” che ha chiuso la due giorni “Fra Noi: evoluzione di un progetto”, che è svolto in questi giorni a Matera (presso la sede della Caritas Diocesana, in via Cappuccini 15) in occasione del Festival delle culture mediterranee Sabir.
Il rappresentante Ministero dell’Interno della Direzione centrale per le politiche migratorie, Maria Assunta Rosa, ha poi dichiarato:
“I progetti finanziati con i fondi Fami devono avere quello che oggi si chiama “approccio olistico”: se un progetto per l’autonomia del titolare di protezione internazionale non parte dal contesto e non si basa una attenzione sia alle esigenze del migrante, sia a quelle del territorio, non funziona.
Se l’obiettivo è una reale inclusione, allora chi esce dal sistema della prima accoglienza deve trovare nel territorio l’humus adatto che gli permetta di mettere le radici nella comunità in maniera efficace.
Un progetto per l’autonomia deve basarsi sulla rete: deve parlare con la scuola, con il mondo del lavoro, con il welfare per la salute, con tutti i pilastri del territorio.
Se non si lavora in rete e in connessione, allora il rischio di fallire è alto.
Importante poi è l’ ascolto delle esperienze precedenti, così come l’ascolto dei bisogni dei migranti e dei territori, che sono alla base anche della programmazione dei prossimi progetti Fami che stiamo per iniziare”.
Si è parlato anche di integrazione nel luogo di lavoro.
Andrea De Bonis, rappresentante dell’UNHCR in Italia, ha confermato il successo delle azioni di integrazione lavorativa delle azioni “Fra Noi” aggiungendo:
“Vediamo anche noi il crescente interesse delle imprese verso i rifugiati.
Chi ha iniziato questi progetti già negli anni scorsi ha visto l’impatto positivo sull’ambiente di lavoro quando in un team viene inserita una persona rifugiata.
E il lavoro è uno dei passi più efficaci nel coinvolgimento delle comunità locali nei percorsi di integrazione dei rifugiati”.
Importante anche la riflessione di Andrea Barachino, presidente del Consorzio Communitas, che è intervenuto dichiarando:
“Quando noi enti del Terzo Settore programmiamo il nostro lavoro a favore di una integrazione sociale non dobbiamo avere chiari solo i nostri progetti, ma è importante avere chiaro i processi che stiamo avviando.
Oggi i progetti ‘Fami’ sono un luogo di innovazione.
Ma facciamo attenzione che non siano solo programmi innovativi: devono esserlo i processi.
I progetti durano un tempo limitato, uno o due anni, i processi invece sono lunghi e vanno oltre.
Il nostro impegno di Terzo Settore è saper vedere quell’ ‘oltre’.
Perché, in un mondo che cambia in fretta, dobbiamo stare attenti a non schiacciare i bisogni dei beneficiari, delle persone cui lavoriamo, all’interno delle tempistiche dei nostri progetti o sulle nostre modalità di lavoro.
Alla fine è la comunità che integra e include, il lavoro dei nostri operatori deve avere sempre ben chiaro che siamo inseriti in un ecosistema, un ecosistema fatto di persone“.
Al convegno è intervenuto anche il Vescovo della diocesi di Matera-Irsina, monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, che ha voluto portare il suo saluto e messaggio ai partecipanti dicendo:
“Vedo qui lo spirito bello di una umanità che vuole incontrare gli altri, che cerca di tradurre in realtà il sogno di saper stare insieme agli altri e vivere con gli altri camminando insieme.
Voi siete il sale, il sale anche se poco è fondamentale: dà sapore alla società, così come dà sapore al nostro pane di Matera“.
Hanno portato riflessioni e testimonianze anche Roberto Cifarelli, consigliere regionale della Basilicata, Nicola Morea, sindaco di Irsina, Raffaele Bracalenti, presidente dell’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali.
La tavola rotonda è stata guidata da Michele Plati, Presidente della cooperativa materana Il Sicomoro, in veste di “padrone di casa”.