Matera: “Si continua a sottostimare il tema del Piano strategico”. L’appello

“Si continua a sottostimare il tema del Piano strategico quale irrinunciabile strumento d’indagine.

Se non dovessero maturare ripensamenti dell’ultima ora, s’intende mettere da parte un’utile bussola per passare acrobaticamente alla redazione del nuovo strumento urbanistico.

Nel dare precedenza a questo percorso – l’invito vale per il futuro gruppo di progettazione – risulterà tuttavia tempo ben speso quello dedicato all’esplorazione condotta sul campo e nei luoghi meno scontati della città.

Detto con estrema umiltà, si rivelerà un’esperienza illuminante, in grado di sviluppare ulteriori consapevolezze circa l’unitarietà del territorio.

Non certo inteso come riserva per nuove temerarie forme di espansione urbana, torsione a detrimento di contrade e aree periurbane minacciate di sparire sotto nuove colate di cemento.

Prevalgono, intanto, diverse pulsioni dell’urbanistica teorica, che a fatica entrano nella pratica amministrativa.

Non di rado si sente parlare – quasi per non perdere l’abitudine, ma senza chissà quale convinzione – di rigenerazione, di ricucire e riammagliare, magari trascurando la non meno nobile pratica della manutenzione urbana attiva.

Non mancano, poi, le esercitazioni sul tema delle periferie.

Senza fare distinzione, però, tra periferie interne ed esterne, persistendo il problema serio delle periferie incompiute e, quindi, emarginate.

Ma basterebbe impegnarsi sull’adeguamento di quantità minime per ottenere differenze positive, specificità qualitative, valori riconosciuti.

Insomma, l’aspetto che più di altri dovrebbe contraddistinguere città storiche come Matera è il loro cosciente rifiuto di omologarsi a modelli predefiniti.

La diversità, da questo punto di vista, rappresenta il bene più prezioso, fattore decisivo nella crescente competizione tra città.

Andrebbe assecondato senza riserve, magari per alimentare l’orgoglio di essere partecipi di uno stesso processo: insieme e ognuno azionisti diretti di un capitale civico condiviso, comunitario.

Nonostante la pesante ipoteca accesa dal nuovo Regolamento urbanistico, si pensi a scelte intensive imposte in via Stigliani o a giochi che si vorrebbero riaprire in via Protospata, è auspicabile discutere sulla redazione del nuovo Piano strutturale.

Per quelle rare volte che è possibile confrontarsi, bisognerebbe insistere specialmente sull’intimo connubio tra territorio agrario e costruito.

Anche perché il finale non muta sotto il cielo di Matera e dintorni.

Si può manifestare in molteplici narrazioni di luoghi vissuti, ognuno con il proprio volto, ciascuno col suo carattere.

Ma rimane imprescindibile una vicenda unitaria, pur sempre riconducibile entro naturali curvature geologiche di base, comprese tra quelle aspre della calcarenite murgiana, e quelle più instabili, le argille degradanti verso l’area Bradanica.

Si tratta di riconoscere, in realtà, un’oscillazione che viene da lontano e che trova preziosi e significativi precedenti nelle pianificazioni redatte a partire dall’inizio del secolo scorso in poi.

Gli strumenti di lettura non mancano, finanche empirici.

Più nel dettaglio, si pensi a presenze verticali, tipo i capisaldi rurali come le masserie fortificate e, poi, torri e campanili, edicole votive e altri punti di riferimento (landmarks) che indirizzano lo sguardo guidandolo nel paesaggio.

Tutti potenti rimandi alle radici, quelle che tengono uniti, ancora chissà per quanto, forse non molto, i luoghi abitati e le campagne estese intorno alla città.

Così, mettersi sulle tracce di un lascito originario, è come incamminarsi tra gli ultimi relitti boschivi, la macchia mediterranea, e ancora campi arati a seminativo che esprimono con forza, tramite potenti solchi impressi nella terra dopo il raccolto, un senso di primordiale maternità, qualcosa che solo il paesaggio agrario riesce a restituire con straordinaria sensibilità.

È un mondo spesso trascurato quello che emerge dallo stimolo di potenti richiami fondativi in quanto, senza urlare, ma con paziente tenacia chiede di non essere tradito, di salvaguardare una realtà fatta di storia, cultura del territorio, soprattutto per non distoglierci dall’incessante necessità di capire dove stiamo andando, in quale direzione.

La misura, la tensione progettuale di responsabili tecnici della pianificazione dovrà raccordarsi a una comunità che vuole continuare a scrivere, capitolo dopo capitolo, il suo racconto, puntando in direzione della città desiderata.

Quella capace d’intrecciare processi diversi, solo per citare i principali, politici, economici, sociali, culturali e tecnologici, ovvero consapevole di dovere fare i conti con le urgenze dell’oggi e con la preparazione del domani, con la volontà di dare forza, non di opprimere, di tutelare e valorizzare, non di stravolgere e consumare”.

Così scrive Pasquale Doria di Matera Civica.