C’è voluta tutta la determinazione di Paride Leporace per concludere la lezione di cinema, l’evento che ha aperto il programma di Future Digs con uno show a tutto campo di Tatti Sanguineti, che avrebbe volentieri voluto tenere la scena ancora per ore.
Mentre ancora gli ultimi spettatori entravano nella sala già piena per assistere al dibattito su “Andreotti e il cinema: i modelli produttivi nella prospettiva europea”, Sanguinetti ha “chiamato” l’inizio della proiezione del suo film “Giulio Andreotti. La politica del cinema”, che avrebbe dovuto concludere la serata.
Uno dei due DVD prodotti di sintesi per una mastodontica impresa intellettuale: cinquanta ore di intervista al Divo della politica italiana sul suo ruolo di protagonista nella storia del cinema del dopoguerra.
Un’opera fondamentale che copre un clamoroso “buco” degli studiosi del leader democristiano: il suo ruolo, da sottosegretario del primo governo centrista di De Gasperi, come segretario della commissione censura e responsabile delle politiche governative sul cinema.
Un luogo di scontro politico e industriale fondamentale ma anche uno spazio privilegiato per la conquista dell’egemonia culturale.
Le cinquemila sale cinematografiche parrocchiali sono state, infatti, un avamposto per le legioni bianche decise a contrastare l’avanzata dei comunisti.
Andreotti ha avuto da subito ben chiara la potenza dello strumento e ha fatto ampio uso della delega totale che gli aveva affidato il vecchio De Gasperi, fermo all’idea che la “lanterna magica” fosse comunque un ordigno un po’ luciferino.
E così Andreotti fa ripartire da subito la macchina produttiva di Cinecittà, velocizzando i lavori per la costruzione delle case popolari destinate ai profughi che occupano ancora i principali teatri di posa, resuscita in poche settimane il Festival del cinema di Venezia, prende possesso della Commissione Censura.
I rilievi vergati di suo pugno si spingono a entrare nel merito delle opere, dettando nel dettaglio le correzioni per renderle ammissibili.
Il giovane sottosegretario ha piglio decisionista e non guarda in faccia a nessuno: quando si rende conto che un documentario pacifista di Gedda è una “polpetta avvelenata” contro la svolta atlantista di De Gasperi, non esita a proibirlo mettendosi contro il potentissimo leader dei Comitati Civici.
Il documentario ricostruisce sei anni di attività: dalla legge per il cinema che favorisce le produzioni nazionali fissando per gli esercenti un minimo di giornate obbligatorie per i film italiani ai più clamorosi episodi di censura (qualche film di Totò ma soprattutto Umberto D. di de Sica).
E il vecchio leader difende tutte le scelte: dalla resistenza alla colonizzazione americana alla lotta all’oscenità (“un concetto formulato dai Costituenti”, sottolinea nell’intervista) ma anche nell’opposizione a un capolavoro che gettava discredito sul buon nome della patria.
Una determinazione espressa anche in altre occasioni: il film inglese sulle Olimpiadi di Londra per essere autorizzato dovette inserire dieci minuti in più dedicati ai successi italiani.
Per Andreotti la responsabilità dello scontro su Umberto D. era tutta nella furbizia dei produttori, che avevano mandato un copione in cui i pensionati protestavano per l’aumento della tassa sui cani e non per la fame che pativano.
Con la consueta malizia il vecchio leader sottolinea:
“Se avessi voluto bloccare il film sarebbe bastato chiedere alla BNL di negare gli anticipi sulla produzione” .
La conversazione tra Leporace, Sanguineti e Bruno Gambarotta ha offerto al pubblico, ancora numeroso nonostante la tardissima ora, retroscena intriganti: dalla stizza di Andreotti per la caricatura del “compagnuccio della parrocchietta”, una macchietta anticlericale di Sordi che aveva rimosso dalla memoria, alla convergente ostilità americana e vaticana contro il ciclo di film su don Camillo e Peppone.
La discussione raddrizza il tiro del documentario, che privilegia i temi della censura, mettendo a fuoco sia gli aspetti della macchina produttiva sia della battaglia culturale.
E Sanguineti trova il modo di difendere Andreotti dall’accusa più infamante:
“Come può aver baciato un mafioso un omofobo che faceva fatica finanche a stringere una mano?”.
In margine all’incontro Paolo Verri, direttore generale della Fondazione Matera Basilicata 2019, ha commentato:
“Comincia bene Future Digs, questa lezione di cinema dimostra che si può tenere assieme profondità e leggerezza.
La sala gremita fino a tarda ora conferma che c’è un pubblico attento ai grandi temi della storia, della cultura, della partecipazione.
Continueremo su questa strada con i prossimi appuntamenti di Future digs approfondendo temi come la democrazia, le migrazioni e l’evoluzione del pensiero”.
Di seguito alcune foto della serata.