Domenica 23 Novembre 1980.
Un riferimento assoluto, sociale, come lo scoppio di una guerra.
Un riferimento temporale, ancora oggi utilizzato per parlare di eventi precedenti o successivi ad esso.
Erano le 19:34 quando un terribile terremoto colpì l’Irpinia e la Basilicata Centro-Settentrionale, registrando una magnitudo pari a 6,5 della Scala Richter.
Fu uno degli accadimenti più devastanti della storia italiana.
Un bilancio terrificante si registrò quando la terra smise di tremare: 2.914 morti, 8.848 feriti, circa 280.000 sfollati.
Cifre impressionanti che si ripercossero per anni e anni in vari aspetti della gestione dell’emergenza.
L’epicentro fu localizzato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, ma anche la nostra regione risentì dei suoi effetti.
Furono 131 i comuni lucani interessati e alcuni pagarono un prezzo altissimo: a Balvano 77 persone, di cui 66 tra bambini e adolescenti, perirono sotto il crollo della chiesa di Santa Maria Assunta, mentre stavano assistendo alla messa.
A Muro Lucano i morti furono 21, così come a Pescopagano.
Le notizie che arrivarono dopo il sisma non furono immediate, tanto che a distanza di giorni non si conosceva l’entità del disastro. Lo stesso Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in visita sui luoghi della tragedia, denunciò il ritardo dei soccorsi. Una sua dichiarazione al TG2 rilasciata il 26 Novembre divenne emblematica:
“Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.
Le polemiche sui soccorsi causarono dimissioni di esponenti politici e della sicurezza pubblica.
A questi problemi, se ne aggiunsero altri, come la ricostruzione, considerata uno dei peggiori esempi di speculazione edilizia: miliardi delle vecchie lire furono spesi per opere mai ultimate o iniziate e si registrarono infiltrazioni della criminalità organizzata.
Problemi che si trascinarono per anni e anni: c’è chi ancora oggi vive, a distanza di 36 anni, nei fabbricati forniti come sistemazione provvisoria a chi aveva perso la casa.
Furono istituite anche commissioni di inchiesta per capire quanto lo Stato avesse effettivamente speso; dall’inchiesta Mani Pulite partì un filone denominato “Mani sul terremoto” che portò a scoprire il coinvolgimento di diversi esponenti politici sulla gestione illecita dei fondi pubblici.
Oggi le ferite del terremoto dell’80 sono ancora visibili: nelle case, nella terra, nell’immaginario collettivo.
Nella speranza che il nostro articolo serva a non dimenticare questa terribile tragedia e quanti persero la vita improvvisamente, ci auguriamo che tutti gli organi pubblici imparino dagli errori del passato, per contrastare la forza di fenomeni naturali come questo.