Per l’occasione della festa del primo maggio, Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina, ha celebrato la Santa Messa dalla cappellina dell’Episcopio:
“Carissimi, siamo nel pieno del tempo Pasquale, che annuncia con forza la vittoria di Cristo sulla morte.
In questo giorno la Chiesa celebra la festa di S. Giuseppe lavoratore, quale Patrono del mondo del Lavoro, valore e diritto che è il medesimo in tutto il mondo.
Oggi inoltre ha inizio il mese di maggio che, nella religiosità popolare, è dedicato alla Madonna.
Stasera alle h. 21:00 dalla Basilica di S. Maria del Fonte a Caravaggio (Diocesi di Cremona, provincia di Bergamo) ci sarà l’atto di Affidamento dell’Italia alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza.
Facendo riferimento alla lettera che vi ho scritto quale Vescovo delegato per la Pastorale Sociale del Lavoro, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti, alla luce di quanto la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci propone.
Il tempo difficile che stiamo vivendo, a causa del coronavirus, ha messo in ginocchio l’economia mondiale, lasciando a casa milioni di persone con famiglie sull’orlo del fallimento.
L’apertura graduale di alcuni settori che ci sarà nei prossimi giorni è sicuramente un segno di speranza ma nello stesso tempo questo nuovo inizio comporterà nuovi atteggiamenti e nuove strategie.
Non potrà essere più come prima.
Rievocando S. Giuseppe lavoratore, nella bottega di Nazareth, inevitabilmente con la mente siamo richiamati a Dio che lavora.
E’ in questa bottega che Gesù cresce e apprende dal padre putativo il mestiere di falegname, lavorando accanto a lui e con lui.
I suoi compaesani, anche se si scandalizzano per quello che insegna e fa, lo riconoscono per quello che è: ‘Non è costui il figlio del falegname?
E sua madre, non si chiama Maria?‘.
Le difficili condizioni in cui tutti i lavoratori sono costretti ad operare, nonostante si cerchi di superarle con l’innovazione tecnologica, sono da leggersi sotto diversi punti di vista.
Per noi credenti la finalità del lavoro non può ridursi al mero guadagno.
E la dignità del lavoratore?
Si può svilire così il lavoro?
La famiglia di Nazareth, Gesù, Giuseppe e Maria, ci insegna, invece, come attraverso gioie e dolori, fatiche e sudore si guadagna il pane quotidiano e si contribuisce a far progredire nella bellezza il genio creativo degli uomini.
Abbiamo sentito nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, che Dio stesso si mette al lavoro per creare il mondo, affidando all’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, cioè capace di essere amore e continuare nel tempo la sua creazione, l’intero creato, ponendolo al centro come custode.
Per usare un’espressione vicina al nostro linguaggio: Dio pone l’uomo come giardiniere della terra perché contribuisca a renderla sempre più bella.
Non è proprietà di alcuni ma di tutti.
Non può essere sfruttata in modo indiscriminato e selvaggio, ma coltivata, amata, aiutata soprattutto quando ci si rende conto che è malata e ha bisogno di essere curata.
La pandemia potremmo considerarla la conseguenza del modo indiscriminato di gestire la vita, il lavoro, la terra?
Inutile dibattere su chi sia stato il primo untore e quando in Italia sia arrivato il coronavirus.
Sono discussioni che non giovano a nulla.
Bisogna avere il coraggio di ricercare la causa, andando alla radice della questione.
E’ un’immagine suggestiva quella di Dio che compie la creazione del mondo, rendendo l’uomo il giardiniere cui è affidato il cosmo.
Come sarebbe bello recuperare questa dignità nel mondo del lavoro!
Tutti custodi di ciò che è nostro, la casa comune.
Ogni lavoro è importante e ogni uomo che svolge il suo compito avendo a cuore il bene della terra e di chi la abita, contribuisce a lasciare la terra migliore di come l’ha trovata e gli uomini più responsabili.
Giuseppe lavoratore ci aiuta, oggi, a cogliere la preziosità del lavoro, non come mansione da occupare o da difendere, ma come luogo in cui far crescere la dignità dell’uomo per abbattere le sofferenze di chi non ce l’ha o l’ha perso.
Tutto ciò valorizza le capacità e la creatività di ognuno e promuove la dignità che spesso viene calpestata a vantaggio del profitto, del guadagno.
La crisi di questo tempo è diventata sofferenza per tutti.
Oltre alle perdite di vite umane, ognuno ha perso qualcosa: siamo tutti più poveri, ma possiamo diventare più ricchi se puntiamo all’essenziale che è la presenza del divino nell’umano.
Giuseppe era conosciuto per il mestiere che faceva. Tra lui e la gente c’era un rapporto di fiducia, di rispetto della persona.
Alla luce di queste considerazioni ritengo che il tema principale non sia solo quello di risollevare l’economia del nostro paese, quanto restituire dignità a chi chiede di lavorare e guadagnare onestamente, con il sudore della fronte, il pane da mangiare.
Ecco perché bisogna riportare la dignità del lavoro e del lavoratore in primo piano.
Le scelte politiche spesso sono state e forse lo sono più drammaticamente in questo momento tese ad assicurare interessi diversi: tutto rischia di essere strumentalizzato.
È il tempo, invece, di ritornare al cuore del vero significato del lavoro, secondo l’intento di Dio.
Dalla Parola di Dio impariamo che tutto ciò che l’uomo compie grazie al suo lavoro, alla sua arte, alle sue capacità, diventano patrimonio comune per tutti gli uomini.
Ma c’è di più: con il suo lavoro l’uomo aiuta Dio a rendere più bella e ricca la creazione.
Quando invece il profitto soffoca la dignità, non fa altro che rendere invivibile il pianeta, spegnendo la sua primigenia bellezza.
Gesù e Giuseppe, artigiani, ci danno l’immagine chiara di Dio che, attraverso l’ingegno, la fatica e le mani, continua a costruire l’universo.
Abbiamo sentito, sempre nella prima lettura, cosa Dio dice all’uomo e alla donna: ‘Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde‘.
Noi credenti siamo grati e riconoscenti a Dio che, attraverso suo Figlio, Gesù, Parola che si è fatta carne, ci indica la strada della vita, della salvezza e ci aiuta a riscoprire il giusto valore di ogni cosa attraverso la quale l’uomo può ritrovare la sua dignità.
S. Giuseppe è stato un umile lavoratore pur discendendo dalla stirpe di Davide (una discendenza regale) svolgendo l’attività di falegname e carpentiere (a quei tempi chi faceva il falegname era spesso chiamato a fare anche il carpentiere).
E’ stato generoso perché ha messo a disposizione della collettività il suo ingegno e la sua capacità.
E’ stato coraggioso perché ha saputo sfidare le ingiustizie subite nella vita rimanendo uomo giusto.
Giuseppe ha amato il suo lavoro contribuendo ogni giorno alla costruzione di un bene più grande: il progetto di Dio sugli uomini.
Questo tempo di Pasqua, vissuto sotto la cappa della paura della pandemia e nella limitatezza delle celebrazioni liturgiche, ci sta donando la possibilità di discernere quale sia l’essenza della nostra fede.
L’impegno del cristiano nasce dalla Parola che induce ad essere operativi, concreti, capaci di scegliere ed annunciare la Risurrezione di Cristo e di viverla nell’impegno quotidiano.
Lo stesso digiuno eucaristico, al quale non riusciamo a rassegnarci, ci sta permettendo di leggere ‘l’oltre’, che è segno di responsabilità per le persone, i territori, le comunità.
In questo tempo ho più volte fatto riferimento a quanto il Papa emerito Benedetto XVI diceva: ‘Io penso che anche oggi un tale digiuno eucaristico, nel caso fosse determinato da riflessione e sofferenza, avrebbe un notevole significato in determinate occasioni, da ponderare con cura‘.
E ancora: ‘la rinuncia potrebbe veramente esprimere maggiore riverenza ed amore al sacramento di una partecipazione materiale che si trova ad essere in contraddizione con la grandezza dell’evento. Un tale digiuno – che naturalmente non può essere arbitrario, ma deve ordinarsi all’ordinamento della Chiesa – potrebbe favorire un approfondimento del rapporto personale col Signore nel sacramento‘.
Possiamo riflettere meglio, dunque, sulla possibilità che viene offerta in questi giorni ai fedeli, proprio nella mancanza della comunione eucaristica, di ‘favorire un approfondimento del rapporto personale con il Signore nel sacramento‘… Ma talvolta abbiamo bisogno d’una medicina contro la caduta nella semplice abitudine e nella sua assenza di spiritualità.
Talvolta abbiamo bisogno della fame — fisicamente e spiritualmente — per capire di nuovo i doni del Signore e per comprendere la sofferenza dei nostri fratelli che hanno fame.
La fame tanto spirituale come fisica può essere uno strumento dell’amore‘
In questo tempo in cui abbiamo tutti fame, fisicamente e spiritualmente, possiamo riflettere che il più grande dono che Dio ha fatto all’uomo è la vita che va accolta, rispettata, amata e aiutata nella sua dignità.
All’uomo Dio ha dato un lavoro: cooperare alla sua creazione.
Oggi Dio chiede che tutti siamo trattati con lo stesso amore, con l’unica finalità di crescere nella comunione fraterna, con il solo scopo di avere un lavoro onesto e dignitoso.
Concludo con un pensiero di Papa Francesco: ‘Signore, aiutaci a diffidare di chi vuol dare una ragione a tutto, senza intelligenza.
Aiutaci a diffidare di chi disprezza il lavoratore, la persona che umilmente costruisce la sua vita ogni giorno, generando nuova vita per altri.
Donaci invece l’intelligenza del tuo Spirito che sa dare ragione alla speranza, apre le menti e i cuori alla novità, allena alla capacità di sorprendersi e di lasciarsi afferrare dall’incomprensibile!
A Maria, che ha servito con amore la sua famiglia di falegnami, affidiamo il mondo del lavoro e tutti i lavoratori, imprenditori, datori di lavoro, istituzioni. Insieme siano espressione della benedizione di Dio per il mondo intero. Così sia‘”.