Alla luce dei dati Istat sulla denatalità in Basilicata, la Cgil Basilicata dichiara:
“Ancora una volta l’Istat ci consegna una fotografia allarmante per il calo demografico in Basilicata.
Al 31 dicembre 2019 la Basilicata consegna lo scettro di perdita di popolazione con il suo -0,97%, terza solo al Molise (-1,14%) e alla Calabria (-0,99%).
In un cotesto nazionale che registra un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia, un lieve aumento dei decessi e più cancellazioni anagrafiche per l’estero, con un numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese in calo (-8,6%), mentre prosegue l’aumento dell’emigrazione di cittadini italiani (+8,1%), il mezzogiorno si trova doppiamente penalizzato con un basso numero di residenti stranieri (12,1%) rispetto al Nord e al Centro, soprattutto nelle regioni del Nord-ovest con 1.792.105 residenti di cittadinanza straniera, pari a oltre un terzo (33,8%) del totale degli stranieri”.
Per il segretario generale Cgil Basilicata, Angelo Summa:
“Bisogna invertire la rotta.
Il trend demografico dei prossimi anni può e deve essere corretto con le giuste scelte politiche, mirate ad un piano straordinario per la crescita che punti su istruzione e università, ricerca e innovazione.
Un investimento qualitativo sulle giovani generazioni, non solo per migliorare la condizione dei giovani stessi ma perché rappresentano all’interno della nostra società una risorsa che produce ricchezza e benessere.
Per farlo è necessario agire in tre direzioni: migliorare la formazione di base e l’acquisizione di competenze avanzate nelle nuove generazioni; investire in politiche in grado di migliorare la possibilità di essere attivi e solidamente inseriti nel mercato del lavoro; gestire flussi di entrata funzionali al nostro modello economico e al nostro modello sociale. Su tutti e tre questi punti dobbiamo dimostrare di saper fare meglio e di più se non vogliamo condannarci a un irreversibile declino, non solo demografico.
Più che di stanche promesse e interventi poco incisivi, abbiamo bisogno di terapie d’urto e programmi di emergenza.
Il che significa ricucire la stretta relazione tra investimento in ricerca, sviluppo, innovazione e politiche attive del lavoro, nella consapevolezza che flessibilità e precarietà del lavoro non possono essere la risposta adeguata per fermare l’emorragia dei nostri giovani.
Significa, in definitiva costruire un sistema che coinvolga in modo sistematico scuola, università e istituzioni territoriali facendo leva su quei settori che rappresentano risorse tutt’ora non utilizzate e non sostenute appieno dalle politiche regionali: agricoltura, agroindustria, automotive ed energia sostenibile”.