Anche quest’anno è disponibile la Classifica Censis delle Università italiane, giunta alla sua ventesima edizione: uno strumento che è stato creato per fornire orientamenti alle scelte di tutti gli studenti pronti a intraprendere la carriera universitaria.
Si tratta di un’articolata analisi del sistema universitario italiano (atenei statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) basata sulla valutazione delle strutture disponibili, dei servizi erogati, del livello di internazionalizzazione, della capacità di comunicazione 2.0 e della occupabilità.
Come fa sapere il Censis:
“Il 2020 è un anno particolare per le Università che, come il resto della società italiana, hanno dovuto contrastare l’onda d’urto dell’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di Covid-19, dovendo riorganizzare le attività e rimodulare la didattica, passando dalla modalità in presenza a quella a distanza a causa del lockdown e per ottemperare alle norme sul distanziamento sociale.
Un passaggio difficile che nel complesso si è compiuto con un discreto successo.
Le informazioni raccolte dal Censis attraverso un’indagine diretta rivolta a tutti i rettori italiani, realizzata nel mese di maggio 2020, cui hanno aderito 61 atenei sugli 81 complessivi, ci restituiscono l’immagine di un sistema universitario reattivo, in grado di ottimizzare risorse umane e tecniche, nonostante le carenze strutturali che da anni lo affliggono, per dare continuità alla propria missione”.
L’Università Degli Studi della Basilicata rientra nella classifica dei piccoli atenei statali (fino a 10.000 iscritti) e, purtroppo, occupa il quartultimo posto.
Per Pietro Simonetti (Cseres):
“La ricerca pubblicata dal Censis sulle Università italiane, in particolare su quelle con meno di 10.000 iscritti, certifica lo stallo della Università della Basilicata che si posiziona al quartultimo posto.
Si tratta di una vicenda che si trascina da tempo e che potrebbe, se non modificata, determinare un declino graduale anche in presenza della apertura della Facoltà di Medicina con i sessanta posti con un intervento finanziario massiccio della Regione.
I punti deboli sono noti: scarsa occupabilità dei laureati, scarsissima internazionalizzazione e poca formazione Post Laura e continua per il privato e Pubblica amministrazione. Nessuna capacità di stringere accordi con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo e abbandono da tempo delle attività formative per i discendenti dei giovani Lucani all’estero.
Estraneità quasi totale alle attività di ricerca nei comparti dell’automotive, dell’agro alimentare, della logistica e del turismo.
Nonostante la firma di centinaia di protocolli, intese, accordi è prevalsa, nonostante lo sforzo del gruppo dirigente una specie di astenia del corpo docente a frequentare le strade della innovazione e dell’inedito dal punto di vista per intercettare le matricole nei territori circostanti e della comunicazione nazionale e meridionale oltre il potenziamento dei servizi che andassero oltre le borse di studio, gestite dall’Ente Regionale.
Dopo la pandemia e la messa a punto delle misure che alcune Università del Sud annunciano, per trattare gli studenti nei territori, appare del tutto decisivo adottare misure conseguenti a partire dalla definizione di un piano formazione e riqualificazione, a partire dal sistema scolastico regionale per gli operatori e soprattutto per i 70 mila lavoratori senza mestiere, qualche, in possesso dei diplomi di scuola media ed elementare iscritti ai Centri per l’impiego che rimarranno disoccupati senza interventi specifici”.
Questa la tabella del Censis.