Bruna a Matera, Il messaggio dell’Arcivescovo Caiazzo: “Affido tutti voi a colei che guardiamo come Madre e veneriamo come Madonna”

Di seguito il messaggio di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo portato, durante il tradizionale incontro alla vigilia della Festa della Bruna, alle autorità civili e militari.

“Carissimi,

per il secondo anno consecutivo ci ritroviamo a vivere questo incontro, parte integrante della festa della Madonna della Bruna, con la consapevolezza che, credenti o meno, siamo entrati in un tempo di grande cambiamento.

Cambiamento che nel nostro linguaggio cristiano chiamiamo conversione.

Vi ringrazio tutti per essere presenti: da S. E. il Signor Prefetto al Presidente della Provincia, dai consiglieri regionali al Signor Sindaco di Matera e a tutti i Sindaci della Provincia, a tutte le autorità militari e civili.

La vostra presenza, ancora una volta, esprime il volto di una umanità unita, compatta, che, pur nella diversità di ruoli, lavora con un unico intento: conversione nello sviluppo economico, sociale, umano e ambientale.

Ognuno di questi aspetti non può fare a meno degli altri.

Viene chiamato con termini che abbiamo imparato a capire meglio durante la pandemia: sostenibilità e resilienza.

La Parola che abbiamo ascoltato ci aiuta a comprendere come nella prima comunità cristiana era essenziale, nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere, rimanere perseveranti nell’insegnamento degli apostoli.

Da questa icona biblica partiamo per dire che la pandemia ci ha fatto capire chiaramente che dobbiamo uscire da chiusure miopi, capaci di guardare solo ed esclusivamente interessi personali, nazionalisti, ed entrare nella logica di essere parte integrante della stessa umanità, dove i problemi dei singoli sono di tutti e quelli di una nazione di tutte le nazioni.

Non esistono confini capaci di separarci dal resto del mondo o dogane capaci di fermare il sogno di una vita da esportare e ricevere.

Stiamo imparando quanto siamo responsabili gli uni degli altri, del futuro del genere umano, del pianeta che abitiamo.

Un altro aspetto che ci sta aiutando a spalancare i nostri orizzonti è il ritrovato sentimento della solidarietà. Ne avevamo bisogno.

Negli ultimi anni, si è avvertita una riduzione del coinvolgimento personale, preferendo delegare a enti e associazioni che hanno continuato la loro azione con entusiasmo e motivazione, tesa al bene dell’uomo, al bene comune.

Noi cristiani ci ispiriamo allo sguardo che Dio ha per ognuno di noi: il Dio di Gesù Cristo è misericordia e in questo tempo difficile e duro ci parla, anche se in modo misterioso, e ci unisce a sè con un “legame di misericordia”.

E’ quanto Papa Francesco, nel 50° anniversario della Caritas, ha detto ai partecipanti nella sala Paolo VI il 26 giugno scorso. Era presente anche la delegazione della nostra Arcidiocesi.

Ma sentiamo Papa Francesco: La carità è la misericordia che va in cerca dei più deboli, che si spinge fino alle frontiere più difficili per liberare le persone dalle schiavitù che le opprimono e renderle protagoniste della propria vita.

Molte scelte significative, in questi cinque decenni, hanno aiutato le Caritas e le Chiese locali a praticare questa misericordia:

dall’obiezione di coscienza al sostegno al volontariato;

dall’impegno nella cooperazione con il Sud del pianeta agli interventi in occasione di emergenze in Italia e nel mondo;

dall’approccio globale al complesso fenomeno delle migrazioni, con proposte rinnovative come i corridoi umanitari, all’attivazione di strumenti capaci di avvicinare la realtà, come i Centri di ascolto e gli Osservatori delle povertà e delle risorse.

Questi sono i principi che ispirano l’azione della Caritas Diocesana, che coordina i Centri di ascolto presenti in tutte le parrocchie del territorio dell’Arcidiocesi, da Montalbano a Irsina. E non mancano le difficoltà.

Il tempo della pandemia ci conferma che c’è bisogno di una seria progettualità, lungimirante, per assicurare alle future generazioni un mondo migliore di come l’abbiamo trovato.

Le forme di assistenzialismo possono andare bene nei momenti di emergenza ma non dobbiamo vivere sempre l’emergenza.

La vera sfida è aiutare ogni uomo a ritrovare la sua libertà, la sua dignità in un processo virtuoso nell’acquisizione della propria autonomia.

In questa direzione come Chiesa ci stiamo orientando attraverso la creazione di centri e case di accoglienza per venire incontro alle tante necessità vecchie e nuove.

La carità è cultura e la cultura è carità. Entrambe camminano insieme in un percorso che le porti alla conquista di qualcosa di più grande: la verità.

Non vi pare che purtroppo da questo punto di vista ci sia molta povertà?

C’è fame di verità, c’è bisogno del pane della verità nell’era delle grandi comunicazioni di massa.

Comunicazione che spesso attraverso i social, anche uomini dello spettacolo fanno senza conoscere quello di cui parlano: è la cultura dell’ignoranza che provoca patologie disgregative, malesseri sociali, incitamento alla denigrazione.

Il filosofo Massimo Cacciari dice: «Il tema della povertà collegato a quello della carità è un luogo culturale e filosofico che investe complessivamente il nostro esserci, non è solo questione teologica…Tutto ciò non va rubricato solo a narrazione, ma occorre affrontare il nodo specifico senza sentimentalismi… È il “luogo”, è il comprendere a pieno anzitutto il povero, che non è, da un punto di vista evangelico, il «fondo di un essere passivo, ma la vetta di un soggetto attivo… Il discernere il necessario dal superfluo, l’aprirsi all’ascolto e alla conoscenza, atteggiamenti fondamentali per una vera carità, sono possibili solo laddove non si ritenga il proprio io un bene chiuso in se stesso, inalienabile».

Da questo comprendiamo che la cultura necessariamente dev’essere legata alla carità, altrimenti mostrerà i suoi limiti e verrà meno al suo fine principale: edificare l’umano.

Dall’altra parte la cultura deve legittimare la carità.

Ecco perché affermiamo che la carità senza la cultura viene meno alla sua specificità di riconoscere la bellezza e l’unicità dell’uomo.

Populorum Progressio del 04 aprile del 2017 e nel Messaggio alla 22ª sessione della Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP22), 10 novembre 2016, dice: «Il concetto di persona, nato e maturato nel cristianesimo, aiuta a perseguire uno sviluppo pienamente umano.

Perché persona dice sempre relazione, non individualismo, afferma l’inclusione e non l’esclusione, la dignità unica e inviolabile e non lo sfruttamento».

Ogni persona umana è un fine in se stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità.

È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro «prossimo, vicino o lontano nel tempo e nello spazio».

Da poco si è concluso a Matera il G20. Una vetrina internazionale per la nostra città che sicuramente avrà una ricaduta positiva.

Ci auguriamo che siano state prese decisioni sagge e che soprattutto vengano attuate.

Con papa Francesco sento di rimarcare:

1. “Una politica migliore, posta al servizio del vero bene comune, è necessaria per permettere lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità tra popoli e nazioni che vivono in amicizia sociale” (Fratelli tutti, n. 154).

2. “La vera carità è capace di integrare tutto questo [privacy, legalità, benessere minimo, commercio, giustizia sociale, cittadinanza politica] nel suo svolgimento e deve manifestarsi nell’incontro interpersonale; è anche capace di raggiungere un fratello e una sorella lontani, anche ignorati, attraverso le varie risorse che le istituzioni di una società organizzata, libera e creativa sono in grado di creare” (Fratelli tutti, n. 165).

3. “Ogni impegno in questo senso diventa un supremo esercizio di carità. Infatti, un individuo può aiutare una persona in difficoltà, ma quando si unisce ad altri per creare processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra “nel campo della più grande carità, la carità politica” (Pio XI, Discorso alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana (18 dicembre 1927) (Fratelli tutti, n.180).

Mi piace concludere con la speranza cristiana che il grande Alessandro Manzoni mette sulle labbra di Lucia, ne I Promessi sposi, nel momento in cui è costretta ad abbandonare la sua terra: “Dio non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande” (I Promessi sposi, cap. VIII).

Con questa certezza affido tutti voi a colei che guardiamo come Madre e veneriamo come Madonna della Bruna, certo che ognuno di noi occupa il ruolo affidatogli come Provvidenza venuta dal cielo, manna che sfama, voce che apre strade nuove nei deserti della storia. Grazie che ci siete.

Così sia”.