A Tricarico gioia infinita: ordinazione sacerdotale per Don Antonio! L’omelia di mons. Caiazzo

Di seguito il testo della omelia che mons. Antonio Giuseppe ha pronunciato nella Cattedrale di Tricarico per l’ordinazione sacerdotale di Don Antonio Martelli:

“Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, equipe formativa del Seminario teologico interdiocesano di Potenza, Signor Rettore, seminaristi, religiose, familiari di D. Antonio, autorità civili e militari, fedeli tutti dell’amata Chiesa di Tricarico.

Da quando il Signore mi ha chiamato, attraverso la Chiesa, a svolgere il ministero episcopale, quale successore degli apostoli, non vi nego che ogni volta che presiedo la celebrazione per l’ordinazione sacerdotale, come questa sera, avverto un senso di inadeguatezza da una parte, ma nello stesso tempo sento la potenza della grazia che agisce in me e attraverso di me.

E’ la stessa sensazione che sente ogni sacerdote tutte le volte che presiede e celebra l’Eucaristia o un altro momento di grazia sacramentale.

Stasera, circondato dalla testimonianza di tanti santi vescovi che mi hanno preceduto su questa cattedra di Tricarico, ma anche sacerdoti come profeti chiamati dal Signore, sento il loro conforto e la loro testimonianza che continua ad essere viva perché impressa nel cuore, nella mente, nello spirito e nella carne dei tantissimi fratelli e sorelle che li hanno incontrati e ascoltati nella quotidianità e negli edificanti insegnamenti. In quanto profeti non sono stati, e nessuno di noi lo è, “proprietari” della Parola, bensì umili servitori, che hanno vissuto l’esperienza di sentirsi posseduti e nello stesso tempo superati dalla Parola che annunciavano.

Eppure abbiamo ascoltato nella prima lettura che capita che ci siano pastori che a volte non si curano del gregge, o capi che lascino perire il popolo di Dio, perché curano i loro interessi o l’apparire, nascondendosi dietro forme rituali che negano la presenza reale di Dio. Dinanzi a tale infedeltà, Dio afferma: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore” (Ger 23,3).

Promessa che Dio ha compiuto con la venuta del Figlio Gesù nella nostra carne, presentandosi e agendo a favore della giustizia e della pace, proprio come ci ha detto S. Paolo nella seconda lettura: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.

Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14-16).

Tutto si contempla e si vive nell’Eucaristia: “Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca” (Sal 22,5).

Quanto proclamato nelle prime letture ci aiuta ad entrare nel brano del Vangelo secondo Marco. Ci presenta i Dodici che rientrano dalla missione che Gesù aveva loro affidato.

Mi sembra interessante sottolineare che i dodici sono chiamati “apostoli”, cioè “inviati”. Gesù li ha inviati e a Gesù ritornano.

Qualcuno potrebbe dire: “è scontato che sia così”. In realtà non sempre le cose vanno in questa direzione. Mi spiego.

Gli apostoli sono stati scelti, costituiti e inviati da Gesù per predicare il suo Vangelo, ma soprattutto per “stare con lui”, raccontargli ogni cosa e presentargli la bellezza di questa missione ma anche le difficoltà, le amarezze, le sconfitte. Per gli apostoli stare con Gesù è più importante che evangelizzare, servire e stare con gli altri.

Un prete non è un impiegato che compie delle cose sacre, ma l’uomo di Dio che sta con Dio per essere capace di stare con quanti gli sono stati affidati.

Attorno a Gesù si ritrovano insieme, nella comunione sacramentale che li lega, e il Maestro e Signore ascolta la missione di ognuno che diventa la missione di tutti.

Una missione che trova nella narrazione al Maestro quella consolazione di cui si ha bisogno e nello stesso tempo quella correzione necessaria per non rimanere nella presunzione di aver capito tutto e di poter fare a meno dell’intimità con Gesù e con il collegio episcopale e presbiterale.

Ogni sacerdote non vive il suo ministero pastorale in funzione della propria affermazione, del posto da difendere o occupare, ma nello spirito della comunione fraterna, del camminare insieme, sempre e comunque nello spirito sinodale del servizio. Tutto a lode di Dio Padre, nello spirito del Vangelo di Cristo, sostenuto e guidato dallo Spirito Santo.

E’ bello cogliere che i discepoli vengono accolti da Gesù, come Bel Pastore che si prende particolarmente cura di coloro che lui stesso ha costituito pastori: ci tiene in modo particolare alle loro persone più che ai successi della missione.

Avverte dal loro narrare, dal loro dire, dalla loro fatica quotidiana che hanno bisogno di riposo. Da qui nasce l’invito ad andare con lui “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’” (Mc 6,31).

Mons. Bruno Maria Pelaia, parlando del Venerabile Mons. Delle Nocche scriveva: “Quando si pensa alla Sua vigile presenza nel Gregge affidatogli, e al Suo luminoso esempio; soprattutto quando si riflette al fascino che emanava dalla Sua tonificante conversazione, alla luce che sprizzava dai Suoi occhi fissi sempre nell’eterno, a quell’influsso di bontà che ti restava, magari nel subcosciente, dopo un colloquio con Lui, a quell’irresistibile bisogno di rivedere o correggere un punto di vista, ridimensionare un giudizio, dopo aver ascoltato il Suo, sempre illuminato, centrato e ponderato, sarà facile convincersi che Mons. Delle Nocche predicava poco, perché aveva scelto un altro pergamo più arduo e più efficace: quello dell’esempio vivo”.

Carissimo D. Antonio, fra poco sarai ordinato prete per essere prete di Gesù Cristo in questa Chiesa e dove lui, attraverso il Vescovo ti invierà.

Non sei tu il festeggiato ma Cristo che ti ha scelto chiedendoti di lasciare il lavoro che ti dava sicurezza economica e sistemazione se pur lontano dalla tua terra.

Eppure, lontano dai tuoi luoghi intrisi di luci, profumi, tradizioni, dalle strette viuzze di Tricarico, il Signore ti ha chiamato a svolgere non più un lavoro retribuito, ma una missione per una donazione totale della tua vita a servizio di Cristo e della sua Chiesa.

Così, in questi anni di formazione, maturando questa chiamata hai sicuramente colto l’importanza di rivestirti degli abiti liturgici più belli che hanno nella grazia di Dio il loro splendore, nella ricerca continua della misericordia di Dio la loro bellezza.

E’ esattamente ciò che sei chiamato a fare verso ogni fratello e sorella che incontrerai: possano cogliere in te la luce e la bellezza del Signore che salva.

Mons. Angelo Mazzarone, parlando di Mons. Raffaello Delle Nocche, scriveva: “è certo che il grande cuore di Monsignor Delle Nocche fu un tabernacolo castissimo, nel quale, con sapienza e devozione quasi angelica, l’Eucarestia era da Lui adorata.

Da quel tabernacolo silenzioso e santo uscirono con umiltà e dolcezza le sue sobrie parole e le sue opere numerosissime, tutte e sempre animate dal precetto evangelico: «cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia».

Egli viveva dell’Eucarestia come l’uomo vive di pane … Come nel corpo il nutrimento si trasforma in ogni diversa articolazione di vita, così in Lui l’Eucarestia, talmente viva ed assimilata con la semplicità e l’umiltà dei piccoli, si trasformava in pensiero, in carità, in parole, in opere, che avevano, dunque, l’odore e santità del Pane Angelico.

Cercava il tabernacolo come l’assetato cerca l’acqua, come il fanciullo la mamma; vi andava incontro con semplicità serafica e con animo sereno, predisposto alla meditazione ed alla contemplazione, per adorare e praticare quanto Gesù gli avrebbe detto; vi si fermava con amorosa dolcezza, gustando la presenza divina come i contemplativi. Guardava il tabernacolo e subito si giocondava tutta l’anima sua, più che poeta assorto dagli incanti fioriti della primavera”.

Come i discepoli hanno bisogno di stare con Gesù, adorare la sua presenza, ascoltare la sua voce e a lui parlare, così ogni sacerdote, ogni vescovo, è chiamato a vivere nel silenzio e nella contemplazione, fin dalle prime ore dell’alba, questo rapporto intimo, unico e meraviglioso che dona tono al ministero quotidiano ma soprattutto che fa sentire ogni prete nella gioiosa certezza che il Signore è con lui, è il suo consolatore, il suo amore infinito.

“Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31).

Gesù, in quanto Bel Pastore, concede a quanti ha chiamato, costituito e inviato il diritto di riposarsi, che significa darsi tempo, per non lasciarsi travolgere dal “fare” e di fermarsi, entrando in quell’atteggiamento spirituale che è il silenzio, lontano da tutti. Il riposo diventa così tempo prezioso che dona nuova lucidità, ma soprattutto rinnova le motivazioni del vivere la vocazione.

In questa Chiesa locale, carissimo D. Antonio, hai tanti esempi che ti hanno preceduto, e hanno vissuto con passione, amore e fecondità il presbiterato, rimanendo legati quotidianamente al Bel Pastore.

Hai sicuramente scrutato o stai scrutando con attenzione e dedizione i loro insegnamenti: non farteli rubare dal maligno che certamente non è contento del tuo “si” e che farà di tutto per distoglierti da ciò per cui sei stato chiamato e fra poco sarai ordinato.

Ricordati quanto diceva un altro santo sacerdote calabrese, il Beato Francesco Mottola: “Il sacerdote deve essere pane, il sacerdote deve lasciarsi mangiare dalla gente”.

Ma nessun sacerdote sarà realmente tale se lui per primo, quotidianamente, non si nutre del Pane Eucaristico e non lo adora nella sua carne e nel tabernacolo.

Il rischio è sempre quello di celebrare la messa ma di non vivere la messa, di dare Gesù eucaristico vivo ai fedeli senza accorgersi che è presente sull’altare e nell’offerta della propria vita che si rinnova o di preparare schemi di preghiera sempre per gli altri senza farli propri.

Ripeto: oggi, come ieri, bisogna stare attenti a non lasciarci travolgere dal fare. E’ fondamentale recuperare le ragioni stesse del fare: avere un cuore che ama ciò che fa.

Ma c’è un’altra via che conduce a Gesù e che Mons. Pancrazio Perrone, riprendendo il pensiero di Mons. Delle Nocche, così esprime: “Riascoltiamolo questo richiamo nel primo contatto che Egli ebbe con i figli della sua Diocesi: «L’altra via che conduce a Gesù Cristo è la devozione alla Vergine Maria.

I due nomi soavissimi sono posti a significare il fatto d’una alleanza tra ciò che vi ha di più casto, di più santo, di più celeste, e ciò che vi ha di più amato e di più tenero sulla terra … La Madre ci trae ad amare il Figlio; nella castità di Maria avvertiamo il paradisiaco profumo della purità per essenza; nella modestia dell’Ancella del Signore, ci rendiamo conto del mistero dell’umiltà del Verbo Incarnato, nella bellezza di natura e di grazia rutilante e nel volto e nell’anima della biblica Fanciulla di Jesse v’è la scala per innamorarci» del «più bello tra i Figliuoli degli uomini».

Carissimo D. Antonio, le vesti sacerdotali che fra poco indosserai esprimono il servizio che sei chiamato a svolgere (la stola diaconale), per Cristo a tempo pieno, la grazia di Dio da comunicare ai fedeli (la stola sacerdotale), il peso della storia che dovrai imparare a sostenere (la casula). Non è un abbellimento più o meno prezioso ma l’identità di ciò che comporta la vita sacerdotale. Il Venerabile D. Tonino Bello ci ricorda che “stola e asciugatoio” stanno insieme.

Fra poco ti dirò: «Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio».

E quando ti consegnerò il pane e il vino: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Non dimenticare mai queste parole, anzi fanne memoria all’inizio di ogni nuovo giorno.

Ti affidiamo alla Madonna del Carmine: possa tu trovare, e noi tutti con te, sicurezza sotto il suo scapolare, conforto, desiderio di magnificare sempre il Signore. La tua cara mamma, già nella gloria di Dio da tempo, fa festa insieme agli angeli e ai santi e, stasera in modo speciale, insieme a noi, Chiesa terrena, dirà a una sola voce: Santo, Santo, Santo! Così sia”.