A quasi due anni dallo storico protocollo d’intesa tra mondo agricolo e cooperativo e industria di trasformazione per aumentare la disponibilità di grano duro italiano di qualità e sostenibile, i primi importanti risultati raggiunti rafforzano il progetto di Filiera “Grano duro appulo lucano” sostenuto da Agrinsieme (Cia, Confagricoltura, Cooperative Italiane e Copagri).
Il progetto coinvolge 47 imprese cerealicole lucane, 6 aziende di trasformazione, 5 di commercializzazione, un’impresa di Grande Distribuzione Organizzata, per un totale di 233.221 quintali di grano prodotto.
A dimostrazione di un’unità di intenti nel segno di qualità, sicurezza e corretta ripartizione del valore lungo tutta la filiera, da quando è stato siglato il protocollo grano-pasta è boom dei contratti di coltivazione tra pastai e mondo agricolo e cooperativo.
Il numero di questi accordi, attivi già da più di 10 anni, è raddoppiato dal 2017, passando da 6mila a più di 12mila.
Nello stesso periodo di tempo, è raddoppiata anche la superficie agricola oggetto di accordo di coltivazione, ormai 200.000 ettari, più del 15% dell’intera superficie agricola nazionale vocata a grano duro.
Dagli accordi di filiera provengono ormai oltre 700mila tonnellate di grano duro italiano (Unione Italiana Food, elaborazioni da dati Istat 2019), che hanno garantito all’industria molitoria il grano “giusto” per la produzione di semole adeguate alle esigenze dell’industria pastaria e agli agricoltori italiani un’equa remunerazione, al riparo dalle oscillazioni del mercato, con premi di produzione legati al raggiungimento di specifici parametri qualitativi e di sostenibilità.
In altre parole, la strada per rilanciare il grano italiano nel segno della qualità è già stata tracciata.
La partnership con un ente terzo di ricercam come l’Università della Tuscia, ha l’obiettivo di realizzare a livello sistemico queste iniziative di successo.
E sono tante anche le collaborazioni attivate con centri di ricerca specializzati e società sementiere per lavorare sulle migliori varietà di grano italiano da mettere a disposizione degli agricoltori italiani, recuperando varietà tradizionali o realizzandone altre “su misura” di un determinato territorio, più resistenti alle malattie, o adatte a crescere con poca acqua:
- dal Furio Camillo allo Svevo;
- dal Normanno fino al Don Matteo;
- passando per Aureo;
- Varano;
- Mongibello;
- Maestà;
- il “vecchio” Senatore Cappelli.
Negli accordi già in essere sono stati coinvolti anche molini e centri di stoccaggio: impianti di proprietà o strutture terze con cui sono stipulati contratti, anche in esclusiva, di conto lavorazione, che hanno permesso alla filiera di creare un ciclo completo e controllato dalla scelta delle sementi alla coltivazione, dalla raccolta del grano duro fino alla macinatura e alla trasformazione.
Con circa il 25% della Superficie Agricola Utile, gli areali interessati dalle colture di frumento duro sul territorio lucano, sebbene in diminuzione negli ultimi anni, sono un potenziale produttivo di tutto rispetto (con valori di circa 5 milioni di quintali) che può, con adeguati interventi, tradurre la sua potenzialità in sviluppo.
Agrinsieme evidenzia:
“A fronte di situazioni positive nel comparto cerealicolo lucano, vi sono criticità di contesto quali:
- il prezzo riconosciuto ai produttori;
- l’inadeguatezza delle strutture di stoccaggio, in grado di conservare i grani senza una differenziazione fra le varie partite e quindi tali da determinare un’offerta troppo spesso indistinta che, miscelando prodotti di diversa qualità, risulta poco competitiva sui mercati.
Gli obiettivi del progetto:
- adeguamento/realizzazione di strutture di stoccaggio che possano ammassare le produzioni per classi di qualità omogenee, realizzando la pratica dello stoccaggio differenziato per classi qualitative, senza la quale è difficile per i grani spuntare prezzi adeguati ed in seconda battuta creare le condizioni per poter più agevolmente soddisfare le esigenze delle industrie della trasformazione che richiedono stock omogenei per granulometria, qualità e contenuto proteico;
- l’implementazione di protocolli produttivi che possano definire in anticipo prezzi in funzione di parametri qualitativi quanto più omogenei possibili prevalentemente in termini di varietà (legate alla vocazione dei territori) e contenuto proteico;
- metodi di tracciabilità che permettano agli attori della filiera a valle della produzione e, soprattutto, ai consumatori di poter agevolmente ripercorrere la storia della materia prime utilizzate;
- investimenti per l’ammodernamento delle imprese agricole, di prima e seconda trasformazione strettamente funzionali allo sviluppo della filiera;
- introduzione, soprattutto nelle aziende di produzione primaria, delle innovazioni produttive ed organizzative volte a migliorare le performance aziendale, qualità e quantità delle produzioni;
- diffusione del metodo di conduzione biologico, che attualmente (anche a fronte di una sempre maggiore attenzione da parte dei consumatori) presenta trend di crescita apprezzabili”.