Se nel 2020 l’economia della Basilicata subisce un vero e proprio crollo (-9% del Pil regionale, a fronte del -8,2% del Mezzogiorno nel suo insieme), le prime previsioni per il 2021/2022 evidenziano un quadro di ripresa lenta, meno brillante e dinamica rispetto al resto delle altre regioni.
È quanto emerge dal Rapporto annuale Ires Cgil Basilicata presentato oggi alla stampa dal direttore scientifico dell’Ires Cgil, Ettore Achilli e dal segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa.
Il calo così accentuato dipende dal modello di specializzazione produttiva lucano, fortemente incentrato su settori come l’automotive, il turismo e la ristorazione, i trasporti, il commercio, le costruzioni (prima del provvedimento del bonus del 110%), che hanno subito danni particolarmente gravi dai lockdown.
La struttura produttiva lucana, composta al 96% da imprese con meno di 10 addetti, rende particolarmente problematica anche la ripresa a partire dal 2021: infatti, nel 2020, la componente di domanda aggregata che più ha sofferto in Basilicata (-10%) sono gli investimenti.
Il profondo gap di investimenti è una ipoteca sulla ripresa, perché aggrava le già deficitarie condizioni di competitività del tessuto produttivo.
Le prime previsioni per il 2021-22, infatti, evidenziano un quadro di ripresa lenta.
Il Pil regionale del 2021 dovrebbe crescere del 2,8% (3,3% nel Mezzogiorno, 4,7% in Italia) per poi crescere del 2,4% nel 2022, anche in questo caso ben al di sotto della ripresa meridionale e nazionale.
In questo contesto, l’analisi del mercato del lavoro regionale, che sconta l’assenza dei dati Istat per il 2021, che saranno disponibili solo a partire da febbraio 2022, è comunque intonata al pessimismo, qualora i dati disponibili vengano analizzati in modo corretto.
I dati occupazionali del 2020 sembrano meno gravi del previsto solo a un’analisi superficiale.
Il 2020 evidenzia una flessione contenuta dell’occupazione (-2.500 unità sul 2019) soltanto in virtù dei provvedimenti governativi di blocco dei licenziamenti e di concessione della cassa integrazione pandemica.
Senza tali norme, la perdita occupazionale stimata si sarebbe attestata fra le 9.000 e le 10.000 unità.
Il dato saliente del 2020 è costituito dal forte incremento di emigrazione nelle classi di età della popolazione attiva: nel corso dell’anno, l’emigrazione di persone in età da lavoro verso altre regioni italiane o verso l’estero è pari a quasi 5.000 unità.
L’emigrazione ha funzionato quindi come “valvola di sfogo”, esportando molte persone che in Basilicata non avrebbero trovato lavoro.
Nel corso del 2020 cresce in misura sensibile (+700 unità) il numero di inattivi, ovvero di persone che escono dal mercato del lavoro, che rinunciano cioè anche a cercare una occupazione.
Le previsioni occupazionali per il 2021 non sono incoraggianti: dai dati Inps emerge che nei primi sei mesi del 2021 sono state effettuate in Basilicata 26.782 assunzioni.
Si tratta di un dato più alto di quello del 2020 (20.976) ma lontanissimo da quello che si verifica in un anno “normale” pre-covid, come il 2019 (34.361 nel primo semestre).
Le assunzioni nel primo semestre crescono del 27,7% tendenziale, ma erano calate del 29% nel primo semestre 2020.
Non c’è quindi un recupero dell’occupazione persa.
La ripartenza è dunque parziale e perlopiù precaria: il 55% delle nuove assunzioni viene effettuato con contratti a tempo determinato, un altro 29% circa con contratti stagionali, a somministrazione o intermittenti.
Le assunzioni a tempo indeterminato rappresentano soltanto il 14% del totale.
L’apprendistato, strumento che nelle intenzioni avrebbe dovuto rappresentare la via maestra per la transizione garantita fra scuola e lavoro, costituisce oramai circa il 2% dei contratti di lavoro stipulati in regione.
Il segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa, afferma:
“Stanti le evidenze del rapporto per il 2021 e per le previsioni al 2022 lo scenario che si prospetta è di una crescita troppo lenta e che allargherà inevitabilmente i divari sociali ed economici della regione.
Con questi ritmi Basilicata non potrebbe recuperare i valori di ricchezza prodotta nel 2019 prima del 2025, mentre il resto del Paese sarebbe in grado di riassorbire gli effetti della crisi pandemica entro i primi mesi del 2022.
Anche la ripresa occupazionale per il 2021 in Basilicata rischia di essere lenta, al di sotto delle perdite registrate nel 2020, non in grado di fermare il rinforzato flusso di emigrazione di forza-lavoro, caratterizzata da forti fenomeni di precarizzazione e degrado del mercato del lavoro.
Occorre attivare immediatamente un piano straordinario di rilancio occupazionale per tamponare e provare a recuperare le perdite occupazionali e le ricadute sociali della riapertura delle procedure di licenziamento e di una ripresa troppo lenta.
La Basilicata ha ancora 134 milioni di euro di Fondi strutturali e di investimento europei per il 2014-2020 non impegnati e 355 milioni di risorse del Fs, a valere sul Patto per la Basilicata 2014-2020, altrettanto non impegnate.
Senza contare le royalties petrolifere, che la piena funzionalità di Tempa Rossa e con il rialzo dei prezzi del greggio potrebbero crescere del 10% nel corso del 2022.
Queste risorse devono essere investite in un piano di emergenza occupazionale ad avvio rapido, in grado di dare una spinta alla ripresa troppo anemica dell’economia regionale ed eviti ulteriori impoverimenti di risorse umane”.
Su un orizzonte temporale più lungo, nel ciclo 2021-2027, Summa ricorda che la Basilicata sarà infine destinataria di una quantità di fondi di dimensioni cospicue:
- 977,2 milioni di euro per il Po Fesr;
- 263,1 milioni per il Po Fse+;
- non meno di 600 milioni a valere sul Fsc, più gli interventi del Pnrr.
Il Segretario conclude:
“Tali risorse straordinariamente elevate vanno dirette verso alcuni interventi strategici, in grado di attivare processi di sviluppo autonomi di lungo periodo: automotive, con un contratto di sviluppo con Stellantis per la creazione di un polo a idrogeno, turismo, infrastrutture, rilancio della Zes jonica, istruzione e formazione, sanità e welfare, con un modello di offerta sanitaria che sia rara e ad alta specializzazione, in grado di accorciare e ridurre i flussi di emigrazione sanitaria”.