Riceviamo e pubblichiamo il Comunicato stampa dell’Unione Sindacale di Base:
“Nella nuova legge di bilancio ricompaiono i voucher per l’agricoltura, l’hotelleria, i ristoranti, i caffè e i servizi alla persona, con particolare riferimento ai lavori domestici, ovvero buoni lavoro stampati dall’Inps, con cui il datore di lavoro può pagare ad ora i suoi dipendenti.
Introdotti nel 2003 con la legge Biagi, sono stati applicati ufficialmente nel 2008 per alcune categorie di lavoratori per un importo fino a 7.000 euro (poi sceso a 5.000 con il decreto dignità), ed hanno visto una vera esplosione tra il 2012 e 2014 quando il ricorso a tale strumento è passato da 24 a 64 milioni.
Cancellati nel 2017, richiesti a gran voce dalle associazioni datoriali, che addirittura ne vorrebbero l’ulteriore estensione, questo strumento di puro schiavismo torna in auge con l’attuale governo nella manovra di bilancio 2023 con un tetto reddituale raddoppiato a 10.000 euro per ogni lavoratore.
Il governo Meloni ha avviato in queste settimane un tourbillon di incontri e consultazioni con le parti sociali.
In realtà, le uniche richieste che ascoltano sono quelle dei padroni.
Al tavolo della nuova ministra del lavoro Calderone, la Coldiretti chiese che i voucher venissero reintrodotti, per carità ‘cambiandogli nome’.
E la risposta è arrivata in pochi giorni”.
Approfondisce la questione today:
“Cosa sono i voucher?
I voucher, anche chiamati buoni lavoro, erano stati introdotti per permettere e stimolare la retribuzione legale dei lavori accessori o saltuari; “lavoretti” come le ripetizioni scolastiche, ma non solo: erano comprese anche le pulizie domestiche, i lavori stagionali agricoli e turistici.
Col tempo, il novero dei lavori pagabili con i voucher era stato continuamente ampliato, rimanendo comunque vincolante l’accessorietà dei lavori svolti.
Nato dunque inizialmente per retribuire solo il lavoro occasionale, il voucher o ‘buono lavoro’ era di fatto una modalità di retribuzione per lavoro occasionale di tipo accessorio.
Era stato introdotto, in prima battuta, nel 2003 dal governo Berlusconi.
Spesso al centro delle polemiche per aver deregolamentato il mercato del lavoro, contribuendo, di fatto, a renderlo più precario, il voucher aveva come finalità quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite appunto ‘accessorie’, che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate.
Ogni voucher aveva un valore di 10, 20 o 50 euro: una parte al lavoratore e la restante in contributi.
Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, era di 7,50 euro e corrispondeva al compenso minimo di un’ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo, dove, in ragione della sua specificità, si considerava il contratto di riferimento.
Erano ovviamente garantite la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL.
Pro e contro
I vantaggi per il committente nell’utilizzo di un sistema come quello dei voucher sono evidenti: può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa Inail per eventuali incidenti sul lavoro, senza rischiare vertenze sulla natura della prestazione e senza dover stipulare alcun tipo di contratto.
E per il lavoratore?
Il prestatore può integrare le sue entrate attraverso queste prestazioni occasionali, il cui compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato.
È, inoltre, cumulabile con i trattamenti pensionistici e compatibile con i versamenti volontari.
I compensi complessivamente percepiti dal prestatore non potevano superare i 7.000 euro netti in un anno.
Bisognerà capire però su questo punto specifico i dettagli, che saranno precisati solo in fase di stesura finale della legge di bilancio.
Fin qui le luci. Ma erano purtroppo numerose anche le ombre, come già accennato. Il voucher spesso infatti era null’altro che una forma di precariato estremo e povero, che svantaggiava ulteriormente soggetti già deboli nel mercato del lavoro.
Dal 17 marzo 2017 l’impiego del voucher, come strumento di pagamento di un contratto di lavoro accessorio, era stato abolito, ma non del tutto.
Il 10 luglio 2017 era stata infatti reintrodotta una nuova forma di voucher, con caratteristiche operative diverse da quello precedente, di fatto molto più complicate e limitative della versione precedente.
Rispetto al biennio 2015-2016, quando l’accesso allo strumento dei voucher era generalizzato, il numero di voucher utilizzati crollò.
Dopo 5 anni, si riparte.
Impossibile pensare ai voucher come a uno strumento di politica del lavoro generale.
Ma i buoni lavoro in alcuni ambiti sono evidentemente utili. Basti pensare alla vendemmia.
Erano stati introdotti inizialmente proprio per quello, in agricoltura, e per un decennio hanno consentito di coniugare gli interessi dell’impresa agricola, grazie al basso livello di burocrazia, con quelli di pensionati, studenti e disoccupati“.
E voi siete d’accordo alla reintroduzione dei voucher?