Riceviamo e pubblichiamo una nota del Dott. Erasmo Bitetti, segretario SIMG Matera (Società Italiana di Medicina Generale), circa le modifiche introdotte dal DPCM del 3 novembre 2020 in tema di rientro al lavoro di pazienti con tampone positivo oltre i 21 giorni:
“Italia paese degli azzeccagarbugli?
Pare di sì osservando la mole di circolari, DPCM, ordinanze, sentenze del Tar tra cui districarsi per trovare la corretta interpretazione di una norma.
A finire oggi in discussione è quella che prevede la fine dell’isolamento ed il conseguente rientro al lavoro di quanti al ventunesimo giorno presentino ancora un tampone positivo in assenza di sintomi.
Molte amministrazioni e consulenti del lavoro ritengono infatti che quanto disposto dalla Circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020 non sia più applicabile a norma dell’allegato 12 del DPCM 3 novembre 2020, documento di rilievo giuridico superiore rispetto ad una circolare ministeriale.
Senza la negativizzazione del tampone quindi niente più ritorno al lavoro.
Ma cosa prevede nello specifico l’allegato12 nella parte che tratta di “Sorveglianza sanitaria / medico competente / RLS” che meriterebbe di essere letta per intero?
“Per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da Covid19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”. (D.Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.”
Il Dpcm del 3 novembre 2020 si occupa anche del tema della sorveglianza sanitaria dei lavoratori (che qualcuno a ragione ha definita “questa sconosciuta”), con queste precise disposizioni:
“La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio”.
Quante sono in Italia le dirigenze ospedaliere e aziendali che si fanno carico in modo attivo della sorveglianza del personale sanitario?
Di fronte al numero crescente di morti tra il personale infermieristico, medico e del 118 una indagine ed una risposta a questa domanda ci paiono doverose”.