Domani 10 Ottobre è la Giornata mondiale della salute mentale 2020, Giornata mai così sentita come in questo periodo così particolare alle prese con l’emergenza Coronavirus.
Infatti la pandemia ha portato alla luce ancor di più il dibattito sull’accesso alle cure.
Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso un sondaggio ha ottenuto dei primi dati a livello mondiale su come la pandemia abbia avuto un impatto grave sull’accesso ai servizi di salute mentale, considerando che risultavano già gravi carenze e sottofinanziamenti prima dell’emergenza.
A questo proposito è stata intervistata da Today la responsabile del Centro di riferimento per le scienze comportamentali e la salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché coordinatrice del gruppo di lavoro su “Salute mentale ed emergenza Covid-19″, la dottoressa Gemma Calamandrei:
“Quello dell’accesso alle cure è un problema già ben presente, che quest’anno assume una valenza maggiore perché la pandemia lo ha reso molto più difficile per tutti ma in particolare per le persone con disturbi psichiatrici gravi, che hanno visto interrompersi il rapporto con il terapeuta o le attività sul territorio.
Il confinamento sociale ha creato un problema rilevante per tutti quei servizi, e in Italia ne abbiamo moltissimi, che nel territorio avevano un rapporto capillare con i pazienti che non solo venivano seguiti attraverso la psicoterapia e interventi di vario tipo ma facevano parte anche di progetti di riabilitazione e inclusione sociale e lavorativa.
Per quelle che sono le caratteristiche di un disturbo mentale moderato e grave è ovvio che la mancanza dell’interazione del terapeuta o col servizio può essere molto problematica.
Però il fatto che ci si sia attrezzati anche per intervenire a distanza in presenza di casi più gravi ci fa sperare di essere riusciti forzosamente, rapidamente a rendere queste modalità di cura forse efficaci.
Molte persone, anche con gravi disturbi mentali, però, hanno avuto paura di rivolgersi ai servizi per la paura del contagio.
Questo è il vero problema.
Rischiamo di perdere persone che magari con un disturbo lieve possono essere aiutate e supportate in una fase iniziale senza che la situazione peggiori.
Questo vale per la malattia mentale come per altre patologie.
Possiamo però aspettarci anche una grande resilienza di fronte all’emergenza.
La paura della malattia, l’isolamento sociale, gli anziani soli nelle loro abitazioni o nelle strutture assistenziali durante il lockdown, bambini e adolescenti chiusi in casa in molti casi con l’acuirsi di conflittualità famigliari, le donne maggiormente a rischio abusi: al momento è difficile sapere se queste situazioni legate alla pandemia possano aver portato a un incremento percentuale dei disturbi d’ansia o di quelli espressivi perché anche in questo caso molti studi stanno raccogliendo ancora i dati.
Possiamo aspettarcelo ma possiamo anche aspettarci ci sia stata una grande resilienza, ossia la capacità di adattarsi alla situazione emergenziale.
Talvolta noi studiosi prefiguriamo determinate situazioni, ma i dati potrebbero anche smentirci perché magari c’è stato una adattamento a una situazione d’emergenza collettiva e magari alcune persone con problemi psichici hanno trovato una dimensione paradossalmente migliore.
E’ molto difficile oggi per noi ricercatori e per chi lavora nel campo della psichiatria e dell’assistenza psichiatrica dire esattamente cosa sta succedendo”.
E voi come state vivendo questo periodo?