Coronavirus, le scuole chiudono e il professore fa lezione sul prato! Ecco l’iniziativa nella vicina Puglia

Chi dice che si può fare lezione solo in classe?

Di sicuro ci sono altri modi alternativi per insegnare tutto ciò che si deve ai nostri ragazzi.

E’ quanto è successo ad una classe del Liceo Scientifico Pietro Sette di Santeramo in Colle (Bari), dove, grazie all’iniziativa del prof. di letteratura, Giancarlo Visitilli, i giovani alunni hanno avuto l’opportunità di fare lezione sul bel prato verde in prossimità dell’Istituto.

La chiusura delle scuole imposta dall’emergenza Coronavirus, non ha limitato la fantasia e la voglia di docenti e professori che si sono riuniti in sicurezza per studiare.

Ecco quanto fa sapere il prof. Visitilli:

“Perché il giovedì, dove io insegno, è giorno di mercato.

Il giorno delle grandi assenze: con la scusa della scuola a distanza, è più facile assentarsi per il cazzeggio.

E allora ci si incontra per due ore a leggere.

“Professore, ma è d’obbligo?”. Ma mica me lo chiede l’alunno: la madre di un figlio sedicenne!

Le madri e i padri per i quali mostro sempre una certa diffidenza nell’incontrarli ai colloqui (questi, per fortuna a distanza! Ah, il Covid…!) perché è mai possibile che a sedici anni devo dire a potenziali donne e uomini che devono studiare, come se facessero ancora un favore ai loro genitori?

E allora proviamo a educare a quel che ci rimane di bello. Almeno fino a quando ce lo si potrà permettere.

E in questo grigiore proviamo a renderci l’esistenza un po’ assolata.

Positiva (questa sì!). Senza distanza, per sentirci, guardarci ancora a busto intero e non come le faccine sulle vecchie millelire.

E farci rizzare i peli, notare la “rizzicatina” che ancora ci fa la pagina di un libro.

Per ridere, mentre si appannano i vetri degli occhiali o piangere per l’emozione e vedere le schifose mascherine luride anche di lacrime. Respirare.

Senza evitare quella madre (qualche genitore mi ha detto che se ci definiamo “stronzi” è una parolaccia) stolta, che non ha voluto mandare suo figlio sedicenne, a fare scuola, leggendo ad alta voce e in presenza “perché lei diseduca così i ragazzi a disobbedire alle regole”. Quelle di vedersi a distanza e tutti i santi giorni e per cinque/sei ore, alienati, noi e loro, davanti allo schermo. A fare finta di fare scuola.

E invece ci siamo seduti in terra, bagnandoci i culi dei jeans, sull’erba rugiadosa.

A scuola, ma all’aria aperta.

Alla stolta ho solo risposto che io disobbedendo ho imparato cosa significa stare alle regole.

Che io insegno a sbagliare. Almeno a scuola ci dovremmo prendere questo lusso, perché alla fine dei tre, cinque anni, si impari a sbagliare diversamente, rispetto a se non fossimo andati a scuola.

La scuola non è casa, dove non si può sbagliare per imparare.

A scuola non si sta per forza composti, perché ci si scompone, studenti e insegnanti.

E allora, alla fine dell’ora della lettura di quel romanzo, guarda caso la storia di due adolescenti che fuggono dai loro genitori per diventare adulti in una lercia cantina della loro casa lussuosa, tornandomene a casa, e passando fra i tanti adulti che cazzeggiavano ancora al mercato, mi son detto che c’è tanta roba ancora da mercanteggiare, se voglio educare il professor Visitilli, mia madre, mio padre e i figli a sbagliare.

L’unico modo che imparo per continuare a insegnare.

P.S. Non so se esistono i libri che insegnano a sbagliare.

Potrei scriverne uno con questi alunni ancora di terza liceo.

Chissà, da grandi, potrebbero consigliare il loro libro ai loro figli.

Fino ad allora saranno morti e sepolti i virus che ci vogliono impedire la libertà di crescere, stando seduti in terra, coi culi gelati di rugiada ma con le ali come di quegli angeli disobbedienti, capaci anche di cadere in volo”.