La consigliera regionale di Parità Ivana Pipponzi si esprime a proposito della situazione venutasi a creare con questa pandemia che ha reso necessario lo smart working, lavoro online non facile da gestire sopratutto per le donne.
Ecco cosa afferma a riguardo:
“Il lavoro agile o smartworking è una opportunità che esiste già dal 2017 per favorire una migliore conciliazione fra il tempo della vita e il tempo del lavoro.
Ma questa modalità di lavoro va messa sotto i riflettori per comprendere fino in fondo quali sono gli aspetti positivi e quali conseguenze reali ha sulle lavoratrici e sui lavoratori.
Per questa ragione come consigliera regionale di Parità, a Luglio di quest’anno, ho istituito il primo Osservatorio regionale sullo smart working, naturalmente in ottica di genere.
Nonostante la legge che regola il lavoro agile esiste dal 2017, è con le restrizioni dovute alla pandemia, che molte lavoratrici e lavoratori, sia dipendenti che autonomi, hanno conosciuto questa modalità oramai preferenziale, se non obbligatoria, che in alcuni casi possiamo ben definire come strong working e home working.
Una modalità, quella imposta dai dpcm per contrastare la pandemia, semplificata perché non contiene le necessarie ed importanti contrattazioni individuali, ma di fatto si svolge quasi esclusivamente a casa, quindi da remoto, tranne una piccola percentuale con rientro nei proprio posto di lavoro, in presenza, rientro molto importante soprattutto per le donne anche per scongiurare la cosiddetta segregazione.
Quindi ci sono sicuramente dei pregi ma anche altrettanti difetti di questa modalità lavorativa.
I pregi sono stati sicuramente quelli di andare a contenere la propagazione del virus.
I difetti, invece, sono sono emersi in tutta la loro durezza e pesantezza ancora una volta a carico della donna.
Infatti ci sono diversi problemi che noi Consigliere abbiamo verificato, tarato, anche in seno alla nostra Conferenza nazionale.
Basti pensare, ad esempio, che le fasce di età tra i 31 e i 50 anni delle donne lavoratrici hanno riferito di aver lavorato in smart working nella misura del 71% ma, facendo 3-4 turni di lavoro.
Questo significa che le donne lavoratrici hanno dovuto continuare a gestire i lavori di casa, ma anche i carichi familiari, magari i figli disabili, i genitori disabili, e anche la Didattica a distanza per i figli.
Fino a costringere le donne a svolgere il proprio lavoro da remoto nelle ore notturne.
A ciò si aggiunge che soltanto l’1 per cento delle lavoratrici che sono state intervistate ha ritenuto di aver potuto usufruire del bonus baby sitter che noi sappiamo non essere cumulabile con i congedi.
Congedi che fino a 15 giorni erano comunque non retribuiti.
Quindi sicuramente i dati che noi andremo a sviluppare nel rapporto che sarà stilato a fine anno non sono dei migliori.
Da un altro rapporto fatto in sinergia con l’Ispettorato territoriale del Lavoro di Potenza e di Matera già emergono dati alquanto sconcertanti sulla convalida delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, ma con un focus naturalmente al genere femminile.
Molte donne sono state costrette a dimettersi proprio a seguito della difficoltà nel conciliare vita e lavoro, resa ancora più grave a seguito dell’emergenza pandemica.
L’auspicio è che si affronti in modo serio il tema del lavoro agile seguendo i contenuti della legge e tarando con singole contrattazioni individuali i tempi e le modalità della sua attuazione.
A tutto questo si aggiungono i disagi a causa della chiusura delle scuole e quelli connessi alla didattica a distanza.
Problema che evidentemente riguarda ancor più le donne perché non tutte hanno quelle conoscenze digitali tali da poter supportare non solo il proprio lavoro da remoto ma anche la didattica dei propri bambini.
Voglio, infine, ricordare quelle tantissime lavoratrici lucane che si trovano in piccoli paesi lontane dai capoluoghi dove il segnale internet arriva in maniera disagiata e dove ci sono famiglie, nelle quali purtroppo il pc è uno solo, che deve poi dividersi tra mamma, papà e bambini.
A questo dobbiamo aggiungere le donne che, purtroppo relegate in casa durante il lockdown hanno in taluni casi subito ingenti problematiche di violenza domestica essendo anche impossibilitate a denunciare”.