Qualche giorno fa la quinta sezione penale della Cassazione asseriva l’assenza di “gravi indizi di colpevolezza” a giustificare “esigenze cautelari” a carico di Marcello Pittella (Pd), presidente della Regione Basilicata – oggi sospeso dall’incarico per effetto della legge Severino – coinvolto nell’indagine della procura di Matera sulla Sanità lucana.
In tal modo spiegava perché, il 26 Novembre scorso, decise di accogliere il ricorso presentato dai difensori dell’indagato contro l’ordinanza con cui il Riesame di Potenza, nello scorso Luglio, confermò la misura cautelare degli arresti domiciliari per Pittella, emessa dal gip, poi sostituita in settembre con quella del divieto di dimora a Potenza.
I giudici di Piazza Cavour, con la sentenza depositata lo scorso 11 Dicembre, hanno accolto tutti i motivi di ricorso della difesa bocciando le motivazioni del Riesame del capoluogo lucano.
Osservava la Cassazione:
“Il tribunale di Potenza non ha assolto all’obbligo motivazionale, limitandosi a evidenziare una serie di elementi indiziari omettendo una reale autonoma valutazione critica e sostanzialmente aggirando le obiezioni difensive” con “generiche letture probabilistiche del ruolo di Pittella” ed “errate valutazioni”.
Quanto, in particolare, alle conversazioni intercettate tra altri soggetti e valorizzate dal Riesame:
“manca ogni concreto riferimento a elementi e circostanze desunte” che “consenta – si legge nella sentenza – di cogliere unitariamente i motivi per cui esse siano state ritenute quali significativo supporto del quadro indiziario a carico di Pittella”.
“Non risultano”, scriveva poi la Corte condividendo i rilievi difensivi:
“sufficientemente esplicitati” i caratteri di “gravità, precisione e concordanza” degli “elementi di fatto meramente elencati dal tribunale in maniera frammentaria e con uso di una tecnica redazionale spesso segnata da superflui giudici di carattere moralistico”.
Il Riesame di Potenza, dunque, continuavano i giudici del Palazzaccio:
“Non ha individuato elementi indiziari dai quali desumere che Pittella abbia fatto sorgere, ovvero rafforzato, il proposito criminoso nei coindagati”.
La motivazione dei giudici di Potenza, secondo la Cassazione, è inadeguata anche sotto il profilo del pericolo di inquinamento probatorio, perché:
“Risulta generica e caratterizzata da una serie di giudizi su perduranti collegamenti politici di Pittella, mentre il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova deve essere identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti”.
Infine, la Suprema Corte ha bocciato il Riesame anche sul punto del pericolo di reiterazione dei reati, basato sulla “possibile assunzione di nuovi incarichi da parte di Pittella nel partito di appartenenza o all’inserimento in ambienti amministrativi”: i giudici di legittimità infatti, osservavano che:
“la circostanza che l’indagato possa contare su nuovi incarichi nel partito o in settori ‘comunque di influenza che gli darebbero rinnovate occasioni di inserirsi, seppure in modo indiretto, in ambienti amministrativi con potenzialità significative di distorsione dei pubblici apparati risulta allo stato meramente eventuale e ipotetica, nonché basata su argomentazioni generaliste in ordine all’esercizio illecito di pubbliche funzioni”.
La Cassazione ha quindi dichiarato fondato anche il motivo di ricorso con cui i difensori rilevavano una “omessa motivazione” sulla scelta del gip di “ancorare il giudizio di pericolosità alla probabile candidatura di Pittella alle future elezioni regionali”: si tratta “con evidenza – conclude la Corte – di uno sconfinamento dei parametri legali che, imponendo al giudice una valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, non possono spingersi fino alla possibilità di ritenere adeguata una misura cautelare per comprimere l’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo”.
Sulla base dei criteri individuati dalla Suprema Corte, il Riesame di Potenza, oggi Giovedì 27 Dicembre, dovrà ora ripronunciarsi sulla vicenda.
Il collegio che si ritirerà per la decisione avrà al massimo 36 ore di tempo per emettere il nuovo verdetto.