“Dopo aver dedicato una vita ai numeri ho dato retta a quella parte di me che si emozionava nel ricercare l’aspetto nascosto delle cose.
Così ho iniziato a rivivere storie intrise di passato confidando nella forza evocativa delle parole”.
Con queste parole racconta di sé la scrittrice lucana Patrizia Bianco che, con il suo ultimo libro “Radici lucane”, ha vinto lo Special PITCH KOBO WRITING LIFE 2018 al Women’s Fiction Festival di Matera come miglior progetto editoriale 2018 e si è classificata al 4° posto ex-equo al concorso nazionale “Residenze Gregoriane” 2019.
La storia, narrata nel libro e ambientata a Matera, ripercorre il viaggio della giovane Teodora in Lucania e le vicende di una famiglia patriarcale nell’arco di tre generazioni a partire dagli anni ’30.
È un ritorno “necessario” per svelare il mistero che avvolge l’infanzia dell’anziana madre nel tentativo di contrapporlo all’oblio verso cui la malattia la sta trascinando.
Alla distanza nello spazio si sovrappone un salto temporale e il viaggio si fa “esperienza”.
E’ così che il lettore ripercorre attraverso i ricordi la quotidianità degli anni della guerra e la difficile ripartenza.
Alle soglie degli anni ’60 la famiglia si affaccia impreparata, la civiltà contadina ha le ore contate.
La calamita del boom industriale porta a compimento l’epocale esodo di massa e più niente sarà com’era.
La città di Matera immersa nella sua storia è l’immagine speculare del suo passato remoto, sempre uguale a se stessa, indifferente al trascorrere del tempo.
Rivivono in tale contesto gli elementi con i quali la civiltà contadina è stata da sempre descritta e sui quali la stessa questione meridionale è stata codificata.
Eppure nella narrazione non c’è traccia dell’assiomatico rapporto fra l’ineluttabilità del destino degli uomini e quello della loro terra.
Lo sfondo cristallizzato resta una struggente quinta teatrale su cui ciascun personaggio vive la propria vicenda.
Il libero arbitrio resta anche in questa terra universale e insopprimibile protagonista della natura umana rafforzato a tratti da un atavico spirito ribelle.
Lottare non è una scelta, è un imperativo, unico antidoto contro le avversità.
Scardinare l’ordine sociale, gli equilibri familiari, la quotidianità è la via obbligata per seguire, nel bene e nel male, le aspirazioni di ciascuno, la sola via possibile per l’affermazione della propria identità.
E’ innegabile che con il susseguirsi delle generazioni, sull’onda dell’inarrestabile contaminazione culturale degli anni sessanta, tale affannosa lotta diventi sempre più efficace.
E’ questo un lavoro corale in cui niente è come appare, ogni personaggio mostra una crepa, una fragilità da cui traspare l’indole che l’ha precipitato alla rovina o, viceversa, la forza d’animo a cui deve il suo trionfo.
E’ di certo l’amore declinato in molteplici forme che tiene le fila di questa storia: l’amore che va oltre i legami di sangue, l’amore fraterno distrutto dall’odio e poi ricostruito, quello che sfida gli anni e si fa cura, l’amore che affranca discriminazione e malattia.
Ecco l’immagine di copertina del libro e la foto dell’autrice.