Continuano gli appelli per scongiurare il depotenziamento dell’Ospedale “Madonna delle Grazie” di Matera.
A quello del deputato Gianluca Rospi, dei Sindaci della Provincia, ora si aggiunge la lettera indirizzata al Ministro delle Salute, Roberto Speranza, di “Matera Civica“:
“Gentile Ministro,
la pandemia ha reso evidente che l’aziendalizzazione della Sanità è stata un fallimento totale, sia nelle regioni “virtuose”, che evidentemente hanno avuto un campo libero di gestione creativa o affettiva e/o clientelare (ci perdoni la sfrontatezza), sia in quelle meno efficienti che si sono trovate stritolate dai debiti e hanno dovuto ridimensionare il sistema capillare del DIRITTO all’assistenza sanitaria, rendendo i cittadini periferici cittadini di serie B.
È inutile anche dire che in questo sistema riorganizzativo l’utenza fortunata è stata selezionata, non di rado, in base a criteri politici più che oggettivi.
Questo accade per esempio a Matera dove, a fronte di una utenza prevalente in regione, la direttiva si muove verso un ridimensionamento del polo ospedaliero cittadino in favore di quella del capoluogo.
Una intervista di Perri, allora direttore dell’APT, del 2015 considerava, per esempio, vantaggioso un turismo sanitario.
Quello che nell’intervista è chiamato “piano turistico” sanitario rende ben evidente come molte linee di definizione programmatica si muovano da ben altre soluzioni.
Questo è ovviamente solo un episodio che può sembrare privo di valenza, ma identifica una tendenza secondo cui si costruisce attorno all’economia prim’ancora che sui diritti inviolabili.
Alla problematica generale dell’assistenza negata alle aree marginali in loco o a breve distanza si aggiunge che nelle le regioni peggio servite dal trasporto pubblico anche il raggiungimento dei poli maggiori è problematico, se non impossibile.
Ancora una volta, tra i territori che vivono questo dramma dobbiamo ricordare la Basilicata che può vantare l’unica provincia priva di scalo ferroviario, nonostante sia città d’arte tra le più quotate dell’ultimo triennio.
Poche righe palesano come un regime di autonomie fiscali colpisca acremente le regioni meno popolose e con aree di montagna occupate da piccoli paesi (vale anche per regioni efficacissime come l’Emilia Romagna che ha problemi di gestione per le aree dell’Appennino) con un’età media tendenzialmente alta se la riforma non è supportata, come accaduto finora, da uno Stato centrale molto forte ed efficiente.
Uno Stato che sappia mantenere la sua capacità di gestione e non tenda alla delega perché egli stesso inefficace.
Non costituisca l’autonomia delle regioni in materia sanitaria uno scarico di responsabilità, perché questo sarebbe inteso come negazione dei principi della Costituzione.
Non costituisca la governance una ragione di gestione locale di interessi, perché questo sarebbe addirittura criminoso.
Lo Stato centrale deve tenersi vigile e garante, non abdicare, perché questo verrebbe a danno del senso di solidarietà che tutti auspichiamo essere stato il motore anche della riforma sanitaria attuata nel 2015.
Lo abbiamo ben letto tutti e compreso dal documento generato nel Febbraio 2018, Il Regionalismo differenziato tra autonomia e solidarietà. Atti del seminario dei Gruppi parlamentari del Partito Democratico di Camera e Senato.
Caro Ministro, diciamocelo però, al di là del principio sottaciuto, che in quanto sottaciuto non è stato mai chiarissimo, la pandemia ha dimostrato tutti i limiti di una riforma immaginata da un governo liberale del 1992, attuata da uno riformista del 2015 (quindi circa 25 anni dopo) ed esecutiva nel momento in cui mostra la sua massima debolezza e inefficacia.
Come cittadini prima ancora che come Gruppo Politico le chiediamo di ripensare questo sistema aziendale, giacché la salute è diritto unanime e non contempla riforme che tendano a privilegiare aree o porzioni di aree rispetto a quelle marginali o periferiche.
Ribadiamo che rimane inoppugnabile diritto che tutti i presidi sanitari siano pienamente operativi ora, per tenere testa alla pandemia, e poi per risistemare la capillarità sanitaria che era nostro vanto nel mondo per il livello altissimo di welfare garantito.
Piccole strutture capaci di affiancare e di essere di supporto rispetto ai Poli ospedalieri centrali, per garantire a tutti i cittadini condizioni di ricovero dignitose e pari diritti di accesso alle cure sanitarie.
La pandemia non ha che confermato, dandoci un pugno nello stomaco, che i mega-poli sanitari non possono essere efficaci quanto la ramificazione sul territorio.
Da un lato vediamo il sostegno allo smart-working come soluzione allo spopolamento dei paesi e alla dinamica del contagio causata dal sovraffollamento dei luoghi (che è un effettivo problema) e dall’altro la depauperizzazione dei servizi e ci chiediamo: la logica, il disegno qual è? Ci sembra che la schizofrenia sia la risposta.
Le chiediamo pertanto, a lei e ai suoi alleati, in qualità di forze di Governo, di rivedere il Decreto ministeriale 70 che sta lentamente destrutturando la sanità sui nostri territori.
Il tutto a detrimento del diritto costituzionale alla salute che si riflette in termini drammatici soprattutto sulle fasce sociali più deboli, già provate da una dura crisi economica aggravata da un’emergenza pandemica che proprio nella nostra regione sta mostrando il suo volto più deleterio.
La ringraziamo in anticipo, sicuri di un suo efficace ripensamento di una legge che la salute non ce l’ha restituita, ma ce la sta lentamente sottraendo in termini di diritti e di prestazioni declinate in una umiliante e ingiusta resa all’antico rimedio della migrazione sanitaria”.