Pubblichiamo l’omelia di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, pronunciata in occasione della Messa Crismale di quest’oggi:
“1.’Canterò per sempre l’amore del Signore’, così abbiamo ripetuto nel ritornello del Salmo responsoriale. Lo stiamo facendo oggi in questa Basilica Cattedrale dopo un lungo periodo di grande sofferenza per la mancanza di incontri fraterni, per l’impossibilità di radunarci intorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, nonostante siamo entrati in tutte le case, con i nuovi mezzi di comunicazione, con le piattaforme digitali, in streaming.
Quanti in questa settimana, dopo aver gustato nuovamente l’Eucaristia, si sono commossi e pianto di gioia!
Ogni presbitero, in comunione con la Chiesa, ha camminato e continua a camminare, ascoltando la voce sofferta dell’umanità catapultata improvvisamente dalle sue sicurezze in un mare di incertezze, morte e disperazione.
Carissimi confratelli sacerdoti, questo momento intimo che stiamo celebrando non ci impedisce di essere, oggi più che mai, in comunione con l’intero popolo santo di Dio, qui rappresentato da alcuni laici, religiose e consacrate. Non siamo fuori dalla realtà anche se tutto ci sembra così irreale e incomprensibile. Questo tempo ci appartiene, è il nostro. In quest’oggi cogliamo il tempo del Cristo redentore: ieri, oggi, sempre. Questo è l’oggi che siamo chiamati a vivere, ma non possiamo prescindere dal passato recente che ci aiuta a vivere meglio il presente e ci proietta in modo propositivo e costruttivo verso il futuro.
Sinergia e corresponsabilità hanno contraddistinto da sempre la nostra azione, in particolare questi mesi. Le stesse ci vengono richieste in maniera più consapevole in questa nuova fase.
Tutti possiamo dire, noi che abbiamo ricevuto il Sacramento dell’Ordine e apparteniamo al sacerdozio ministeriale e voi, fedeli, in virtù del Sacramento del Battesimo e vivete il sacerdozio comune, che questo tempo ci sta facendo riscoprire l’essenziale.
Nella drammaticità di questo momento storico, ci stiamo rendendo conto che c’è bisogno di sobrietà, di stare insieme come fratelli, di guardarci come tali, di aiutarci a camminare sostenendoci a vicenda. Farsi carico della vita dell’altro, fino a dare la vita per gli altri.
Non è forse questo l’insegnamento che stiamo ricevendo dalle migliaia di medici, infermieri, paramedici, farmacisti, dentisti, protezione civile, sacerdoti, diaconi, religiose? Quante testimonianze! Quanti annunci di vita! Quanto amore seminato!
2. E’ proprio vero: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me’. Lo è su tutti coloro che con la vita sono stati e sono capaci di continuare a parlare il linguaggio di Dio. Non basta averlo ricevuto nel Battesimo ed essere stati confermati. Non basta che siano state imposte le mani sul capo di ognuno di noi. Lo Spirito del Signore è sopra di noi perché stiamo avvertendo in noi il bisogno di metterci in atteggiamento di ascolto del tempo presente e stiamo orientando le nostre scelte di vita secondo la Parola che proclamiamo e l’Eucaristia che celebriamo.
Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché, soprattutto in questo tempo, siamo stati capaci di dare la vita per il Vangelo, per la Chiesa.
Lo Spirito del Signore è su di me, perché nel tempo della pandemia, ancor prima di portare il lieto annunzio ai poveri, professiamo lo Spirito nelle scelte di vita: riscoperta dello stile dell’essenziale; perché ancor prima di proclamare la liberazione ai prigionieri, ci liberiamo di rancori, inimicizie, sospetti, giudizi; perché ancor prima di proclamare la vista ai ciechi, ci lasciamo aprire gli occhi da un bravo direttore spirituale per coltivare la vita interiore attraverso la preghiera, l’ascolto e la Parola; perché ancor prima di rimettere in libertà gli oppressi, sentiamo il desiderio di stare con i confratelli e condividere le stesse ansie, sofferenze, gioie; perché ancor prima di proclamare l’anno di grazia del Signore, avvertiamo il bisogno della vita sacramentale e coltiviamo la spiritualità della comunione sacerdotale.
3. Il rinnovo delle promesse sacerdotali che vivremo fra poco non è altro che fare memoria del nostro “Si” al Signore che ci ha chiamati, uomini tra gli uomini, deboli tra deboli, per servire gli uomini deboli, fragili, peccatori come noi.
Come non ringraziare il Signore per voi, carissimi confratelli presbiteri, che in questo difficile, complesso e sofferto tempo, vi state adoperando a favore dei fedeli a voi affidati con slancio, amore, determinazione, curando ogni ferita, ogni sofferenza, venendo incontro alle tante necessità di ogni genere? La vostra testimonianza e il vostro prodigarvi, in silenzio, si sono espressi anche quando avete messo a disposizione dei più disagiati i vostri beni.
In questo tempo di Covid-19 vi state dimostrando, inoltre, disponibili a vivere quanto lo Spirito del Signore ci sta suggerendo per mezzo della Chiesa, sentendoci responsabili e corresponsabili per contribuire a promuovere il ritorno ad un nuovo umanesimo cristiano. Questo è il regalo più bello che ci stiamo facendo come presbiterio, questa è la festa più importante che stiamo celebrando!
Sacerdoti santi e consacrati perché chiamati a partecipare alla santità di Dio, consegnandogli ogni giorno, con sempre maggiore consapevolezza, la nostra vita. Significa che non ci apparteniamo più ma siamo immersi in Lui, siamo sua proprietà. Siamo consapevoli che, pur immersi nella vita del mondo, rifuggiamo dalla “mondanità” perché siamo intrisi di Lui.
A questo proposito mi piace riportare la spiegazione di Benedetto XVI, che ritengo sia molto illuminante, quando dice: ‘Essere consegnati a Dio significa piuttosto essere posti a rappresentare gli altri. Il sacerdote viene sottratto alle connessioni del mondo e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio, deve essere disponibile per gli altri, per tutti. Quando Gesù dice: ‘Io mi consacro’, Egli si fa insieme sacerdote e vittima. Pertanto Bultmann ha ragione traducendo l’affermazione: ‘Io mi consacro’ con ‘Io mi sacrifico’. Comprendiamo ora che cosa avviene, quando Gesù dice: ‘Io mi consacro per loro’? È questo l’atto sacerdotale in cui Gesù – l’Uomo Gesù, che è una cosa sola col Figlio di Dio – si consegna al Padre per noi. È l’espressione del fatto che Egli è insieme sacerdote e vittima. Mi consacro – mi sacrifico: questa parola abissale, che ci lascia gettare uno sguardo nell’intimo del cuore di Gesù Cristo, dovrebbe sempre di nuovo essere oggetto della nostra riflessione. In essa è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione. E vi è contenuta anche l’origine del sacerdozio della Chiesa, del nostro sacerdozio”.
Fra poco, carissimi confratelli sacerdoti, vi porrò questa domanda: ‘Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?’ Risponderemo: Si, lo voglio. Sia io che voi abbiamo già tante volte detto e ripetuto che la nostra scelta di vita, non è finalizzata alla propria autorealizzazione ma a fare la volontà di Cristo. Il sacerdote, se è immagine di Cristo, non può cercare il proprio tornaconto, l’affermazione delle proprie idee, l’attaccamento al danaro, il culto la propria immagine, l’occupazione di un posto di prestigio che lo faccia sentire realizzato, la ricerca di affetti malati.
Chi ci ha chiamato, Gesù, ci ha detto che sta in mezzo a noi come colui che serve; che non è venuto per prendere qualcosa o legare i fedeli alla propria persona, ma è venuto per dare e dare la sua vita in riscatto per tutti. Siamo chiamati a identificarci nel Maestro e Signore non per i paramenti preziosi che adornano il nostro corpo, ma per i paramenti interiori, ancora più preziosi, che devono adornare la nostra esistenza sacerdotale: la santità di Cristo, l’amore per lui e per la Chiesa sgorgata dal suo fianco squarciato.
Fuori da questa logica ogni ministero (diacono, prete, vescovo, papa) sarà un fallimento, un danno per se stesso e per i fedeli, una ferita inferta al cuore di Cristo e della Chiesa.
4. Sacerdoti amati e che amano. C’è un gesto importante che noi compiamo, soprattutto quando ci accingiamo a celebrare l’Eucaristia: indossare i paramenti liturgici. Questo gesto indica che il sacerdote è e agisce ‘nel nome di Cristo’. Gli abiti liturgici mostrano in modo ‘evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi. (…) Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lì in persona di un Altro” (Benedetto XVI, Omelia, giovedì santo 2007).
Siamo amati e posseduti dall’Amore e in noi e attraverso di noi, Gesù, il Sommo Sacerdote per eccellenza, agisce, opera, serve, ama. Siamo preti perché innamorati di Cristo e del suo agire. Liberiamoci dalla tentazione di amare solo ciò che ci gratifica: la nostra vocazione è fare ciò che farebbe Gesù, anzi che fa Gesù, oggi, in questo tempo.
Servi per amore non perché lo cantiamo e le note musicali ci accompagnano, ma perché, mossi dalle note che lo Spirito scrive sul pentagramma della nostra esistenza, siamo capaci di suonare e incantare con una melodia che non è la nostra, ma che viene dal cielo.
Sacerdoti amati e che amano perché agiscono anche a nome di tutta la Chiesa quando presentano a Dio la preghiera della stessa Chiesa e soprattutto quando offrono il sacrificio eucaristico.
L’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato, ci ha detto: ‘A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen’.
Affidiamo la nostra vita a Maria, Madre dei sacerdoti che, in questo mese di maggio a lei dedicato, stiamo particolarmente venerando, affinché ci aiuti sempre a fare memoria che lo Spirito del Signore ci ‘ha mandato ad annunziare il lieto messaggio a tutte le genti’.
Ringraziamo il Signore per l’arrivo tra noi di Don Rej Kishakkekkoottu Thankachan, attualmente nella parrocchia dell’Addolorata e di Don Massimiliano Nanna che nei prossimi giorni, come fidei donum, da Vienna verrà nella nostra Chiesa a prestare il servizio pastorale, anche se è di origine pugliese.
Ricordiamo nella nostra preghiera i confratelli anziani o ammalati: Mons. Michele Scandiffio, Don Pietro Andriulli, Don Giovanni Punzi, Don Cosimo Papapietro, Don Giuseppe Frescura, Don Mattia Albano.
Affidiamo alla misericordia di Dio, perché godano della vita eterna che nella loro vita hanno sempre annunciato: Don Leonardo Selvaggi, Don Nicola Tommasini, Don Nicola Colagrande, Don Mimì Morelli, Mons. Antonio Tortorelli.
5. Festa Madonna della Bruna. Colgo l’occasione per annunciarvi che, tenendo presente questo tempo di pandemia e le norme restrittive governative alle quali stiamo ubbidendo, per la festa della Madonna della Bruna, ho maturato nella preghiera alcune iniziative che ho condiviso con i collaboratori più stretti, raccogliendo anche suggerimenti di alcuni confratelli sacerdoti, e soprattutto le indicazioni del signor Questore.
Questo tempo sarà ricordato nella storia dell’umanità. Intendo avviare, nella nostra Chiesa di Matera – Irsina, rifacendomi a quanto dice la Sacra Scrittura, l’iniziativa che preveda ogni sette anni una festa della Madonna della Bruna più solenne, più partecipata, più attiva, proprio per fare memoria di quest’anno particolare.
Nella Bibbia il numero ‘sette’ è sacro perché è il simbolo di Dio, della sua perfezione e completezza, ma indica anche il sabato, il settimo giorno, quello del riposo dopo i sei giorni della creazione, quello più solenne della creazione; l’oro puro sia «raffinato sette volte» (Sl 12,7); settanta gli anziani del «senato» costituito da Mosè (Es 24,9; Nm 11,24); settanta settimane d’anni scandiscano l’avvento finale del regno messianico, secondo il libro di Daniele (9, 24); Ancora, nel libro dell’Apocalisse troviamo sette chiese (Ap 1,4ss); Gesù ci ammonisce invitandoci a perdonare non solo sette volte, ma settanta volte sette (Mt 18,21-22); Gesù sfamò cinquemila uomini con 5 pani e 2 pesci, è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Matteo 14,13-21, Marco 6,30-44, Luca 9, 12-17, Giovanni 6, 1-14).
Non possiamo fare manifestazioni esterne. Non possiamo camminare con Maria e dietro Maria per le strade della nostra città, ma, quest’anno, sarà Maria che verrà nelle parrocchie della città, nelle nostre case.
Da quest’anno, e così sarà ogni sette anni, la festa della Bruna inizierà dal mese di Giugno. L’Effige della Madonna si metterà in cammino per le strade della nostra città, portata in una macchina affinché nessuno si avvicini, né si creino assembramenti, raggiungendo ogni singola chiesa parrocchiale o santuario, in un orario che solo il parroco o il rettore conoscerà, dove rimarrà un giorno e una notte per la venerazione dei fedeli. Sarà la ‘Peregrinatio Mariae’.
Il primo atto sarà quello di andare all’ospedale a lei dedicato, ‘Madonna delle Grazie’, dove, come sapete, fin dall’inizio della pandemia, ho collocato, nella cappella l’immagine della Madonna dei Pastori. Luogo di sofferenza, luogo di cura, di vita, di morte e di guarigione. Ma anche per ringraziare la Madonna della Bruna che ancora una volta ha difeso la nostra città e Diocesi dal contagio della pandemia. Io, come Pastore, accompagnerò l’effige della Madonna della Bruna Domenica 31 maggio, giorno che chiude il mese mariano proprio con la festa della Visitazione di Maria, e il tempo pasquale con la solennità di Pentecoste.
Da lì, il Primo Giugno, riprende il pellegrinaggio verso la prima parrocchia e via via tutte le altre, secondo il calendario che sarà reso pubblico e che voi confratelli della città, in modo riservato, avete già ricevuto.
Per il 20 giugno, giorno in cui la Diocesi celebra la festività liturgica di S. Giovanni da Matera, l’Ufficio liturgico vi farà pervenire il ‘proprio’ della festa.
Durante la novena, a turno, i parroci della città presiederanno con le realtà parrocchiali, la celebrazione della S. Messa. Ogni sera saranno invitati categorie di fedeli che in questo tempo si sono particolarmente presi cura di tutti: dai medici alle forze dell’ordine.
Il giorno 02 luglio, festa della Bruna, se le condizioni lo permetteranno, saranno celebrate tre messe, presiedute da me: alle 05:30 in piazza S. Francesco d’Assisi (solo posti a sedere, 240, a distanza di sicurezza e con tutte le precauzioni) dando spazio ai giovani; alle 11:00 Pontificale in Cattedrale; alle 19:00 nella Parrocchia Maria SS Annunziata a Piccianello.
Con Maria mettiamoci in cammino, sostenuti dalla preghiera di S. Eufemia e S. Eustachio, per visitare l’umanità fragile e bisognosa di essere curata e amata. Così sia”.
I dettagli.