Riceviamo e pubblichiamo una nota stilata dall’ANED di Matera, Associazione Nazionale Emodializzati – Dialisi e Trapianto – Onlus:
“Le vicissitudini raccontate da Katya Madio, una nefropatica lucana trapiantata di rene da circa trent’anni e che ora, purtroppo, deve affrontare la triste realtà della dialisi, riguardo l’impossibilità in Basilicata di scegliere le cure salvavita domiciliari, si aggiungono alle tante storie vissute e ai numerosi problemi che investono i pazienti affetti da una malattia renale cronica o sottoposti a terapia sostitutiva.
Storie che evidenziano l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria sul nostro territorio.
Nella insufficienza renale cronica, quando la terapia conservativa ha esaurito le sue potenzialità, la terapia sostitutiva non può essere indirizzata prioritariamente sulla sola dialisi o addirittura su una sola metodica di dialisi.
Il malato ha il diritto di conoscere, da subito, tutte le opportunità terapeutiche, i loro rischi e benefici, la loro fattibilità, i tempi e le procedure di accesso, la trasparenza e la equità di distribuzione delle risorse, i condizionamenti diretti ed indiretti sulle aspettative di vita e sulla qualità di vita.
Da sempre ANED sottopone alle Istituzioni nazionali e regionali il tema fondamentale della centralità del malato e della sua autonomia, perché il paziente informato è colui che si cura meglio, sostenuta da una vera relazione con il medico curante.
Il colloquio con il nefrologo prima di iniziare la dialisi deve abbracciare tutte le opzioni della terapia sostitutiva: la dialisi nelle sue diverse forme, ivi compresa quella domiciliare (peritoneale ed emodialisi), il trapianto da cadavere e da vivente.
La dialisi peritoneale è un trattamento sostitutivo dell’insufficienza renale cronica terminale con caratteristiche diverse dall’emodialisi.
Il meccanismo depurativo sfrutta come agente filtrante una membrana naturale che ricopre l’addome che viene a contatto con un liquido dializzante introdotto nella cavità peritoneale attraverso un catetere.
Il posizionamento del catetere avviene con procedura chirurgica dopo attenta valutazione del paziente.
Successivamente è di fondamentale importanza l’educazione terapeutica del paziente affinché acquisisca capacità e abilità nell’autogestione e nell’autocura in sicurezza.
Tale metodica consente al paziente di stare a casa, permette una più ampia autonomia e di gestire meglio l’attività lavorativa ed ha costi assai minori rispetto all’emodialisi ospedaliera.
Non mancano gli svantaggi: per alcuni pazienti il catetere peritoneale può essere un ingombro, possono insorgere infezioni, l’efficacia depurativa è limitata nel tempo. In ogni caso, è una possibilità di cura che deve essere sempre offerta se le condizioni cliniche lo consentono.
Ma la dialisi peritoneale e domiciliare non si inventano dall’oggi al domani: occorre attivare ambulatori e personale dedicati, preventivamente addestrati all’esecuzione dell’intervento preliminare di posizionamento del catetere, nel prendersi carico del paziente, nell’intervenire tempestivamente in caso di infezioni o di altre emergenze.
Le regioni del centro nord, da diversi anni, hanno attivato e favorito la dialisi domiciliare con leggi specifiche che prevedono il rimborso delle spese sostenute per i lavori di adeguamento dell’ambiente in cui dovrà essere effettuata la dialisi, un contributo per coprire le spese relative al funzionamento delle attrezzature e il rimborso delle spese di viaggio per i controlli effettuati presso il centro specializzato.
Anche in Basilicata esiste una legge del 1979 relativa alla dialisi domiciliare che, però, dispone il rimborso parziale di alcune spese, escluse quelle relative al viaggio; ma in assenza di ambulatori specializzati resta sostanzialmente una legge limitante.
Il Piano Nazionale della Cronicità indica alle regioni, nel capitolo dedicato alle malattie renali croniche, fra le tante proposte, quello di sperimentare modelli di dialisi domiciliare sia peritoneale che di emodialisi utilizzando strumenti di teledialisi assistita, con il risultato di ottenere un aumento della domiciliarità delle prestazioni che deve essere testimoniata da indicatori precisi.
Il confronto del contenuto del Piano della Cronicità con quanto esiste nella realtà sanitaria lucana suscita in noi un sorriso amaro.
Come potrebbe essere diversamente visto che il personale sanitario deve quotidianamente ingegnarsi su come coprire i turni di lavoro?
Tante volte abbiamo chiesto una nuova organizzazione della rete nefrologica, quale ruolo devono avere i centri dialisi periferici, chi deve fare, cosa deve fare, con quali risorse umane, strumentali, tecnologiche, logistiche deve poter svolgere le attività di prevenzione, di diagnosi, cura e riabilitazione allo scopo di garantire realmente, praticamente il diritto alla salute.
Diritto che nella nostra regione spesso viene negato; non abbiamo neanche il diritto di avere risposte alle tante domande poste, atteggiamento che denota indifferenza nei confronti di persone affette da malattie croniche e sottoposte a dialisi semplicemente per sopravvivere“.