Matera: questo ex ospedale seicentesco pronto ad accogliere una bellissima mostra di artisti provenienti da Croazia ed Albania! Ecco le foto

Negli spazi dell’Ex Ospedale di San Rocco a Matera, il progetto espositivo Damir Očko – Driant Zeneli. Exploratives, ideato e curato da Giacomo Zaza, accosta due importanti esperienze artistiche contemporanee provenienti dall’area balcanica – Croazia e Albania – che elaborano universi visivi ricchi di componenti poetiche, riflessive e performative.

Come sottolinea Giacomo Zaza:

“i due artisti alimentano una immaginazione esplorativa che tratta questioni etiche e politiche, codici sociali, sconfinamenti del sensibile e nuove ipotesi di spazi-tempo.

Le opere di Očko implicano diversi temi legati all’uomo (fragilità e resistenza) e ai suoi sistemi di controllo e oppressione, così come alle condizioni marginali del corpo.

Inoltre combinano segni e immagini ai bordi della verità e della comunicazione.

Mentre il lavoro di Zeneli insiste sul viaggio come esplorazione e attraversamento dei confini: innata attitudine umana al movimento e al cambiamento.

Zeneli si sofferma sul dualismo utopia/distopia, sulla poeticità del sole e della luna, sulla libertà e sul sogno.

Entrambi gli artisti trasformano l’essere umano e la sua mente in vettori di un’esplorazione fantasiosa e inarrestabile.

La mostra si fonda su un continuo scambio tra reale e immaginario, un meccanismo complesso di produzione simbolica che riattiva, in forme nuove i processi della psiche e le percezioni del mondo, oltre i parametri conosciuti.

Seguendo le posizioni teoriche di Edgar Morin, si può affermare che Očko e Zeneli insistono sulle capacità dell’immagine nell’ambito della conoscenza, in quanto l’immagine rinvia a una realtà da conoscere”.

Tanto la monumentale torre in legno che trasmette al suo interno il video DICTA I e le opere su carta di Damir Očko, quanto le foto e le video-installazioni di Driant Zeneli a Matera, formano un immaginario complementare al reale e parallelo al panorama mediale contemporaneo, dove gli schermi sono spesso una momentanea visualizzazione di immagini nello spazio sociale.

Tale immaginario apre nuove percezioni: oscilla tra la vulnerabilità umana e l’ebbrezza di pulsioni inattese.

In Očko il poetico e il linguaggio (scritto, parlato, trasmesso con i gesti) persistono in modo attivo e dirompente, simile a una dichiarazione politica (come nel video DICTA I).

Il corpo umano è tanto il soggetto – punto di osservazione – quanto l’oggetto da osservare.

Similmente, ma con differenze stilistiche e tematiche, le presenze umane di Zeneli abitano nuovi paesaggi e perlustrano mappe dell’alterità.

Per entrambi gli artisti l’esplorazione di mondi esteriori e interiori implica molteplici figure, motivi, forme di visioni, espressioni che stridono con qualsiasi linguaggio ridotto, semplificato (tipico della comunicazione veloce di largo consumo), dimostrando, come ha sottolineato Julia Kristeva nel 1997, che l’immaginario è riconducibile al processo del pensiero, rigenerativo del tessuto creativo e associativo.

Očko e Zeneli producono momenti di introspezione, empatia, trasposizione e sconfinamento.

Damir Očko (nato nel 1977 a Zagabria, dove vive e lavora) esplora le complessità del linguaggio e il modo in cui il sistema neurofisiologico riesce a generarlo in modo poetico.

La sua pratica intermediale plurale (musica, film, scrittura poetica, collage, oggetti bidimensionali) intende “capire meglio i modi di ascoltare e guardare”, e l’emergere dell’intensità ricettiva.

Il suono, quasi primordiale, e la voce, quali sostanze acustiche che precedono, generano ed eccedono la comunicazione verbale, possiedono ramificazioni non solo poetiche, ma anche politiche.

Difatti Očko, nato in un periodo di ampia transizione, associa continuamente il suo lavoro al tumulto della politica internazionale e alla dissoluzione della Jugoslavia. Non a caso anela a comporre una “neolingua” simile al “Newspeak” (nuovo parlare) immaginato e descritto da George Orwell per il suo libro 1984. Un linguaggio semplificato, quello di Orwell, costituito da parole composte per scopi politici, facilmente pronunciabili, con cui l’autore indagava l’impoverimento e il mono pensiero di qualsiasi assetto totalitario.

Il versante dispotico e metamorfico proposto da Očko offre una deviazione rispetto ai registri del significato, continuamente aperta all’estraneità.

Il video Dicta I, 2017, all’interno di una grande torre rossa (ideata appositamente dall’artista), di cui a Matera si presenta anche una serie di opere su carta, “mette in scena” la recitazione di una poesia composta da Očko con frammenti tratti da “Scrivere la verità: cinque difficoltà” (1935) di Bertolt Brecht.

Il testo di Brecht racconta l’importanza e la difficoltà di scrivere la verità in tempi di disordini per l’intellettuale impegnato e organico al proletariato che deve superare la menzogna e l’ignoranza.

Dato che le difficoltà sono operanti non soltanto nei regimi totalitari, ma anche nelle democrazie, l’intellettuale secondo Brecht dovrebbe camuffare bene la verità in modo da sottrarre la verità alla censura e alla manipolazione del potere, e consegnarla a tutti.

Le opinioni di Brecht riguardo al fascismo e alla sua relazione con il capitalismo, il populismo e la manipolazione della verità, riecheggiano fortemente attuali. Očko non solo rivisita il testo di Brecht, ma tiene conto delle sue prescrizioni componendo un discorso verbale randomizzato, radicale e dadaista che, mediante una struttura riordinata, propone un commento critico alla costruzione del significato e comunica un pensiero poetico dietro un astuto travestimento.

Le parole e le frasi tratte da Brecht, allontanate dalla loro sintassi e dal loro contesto, sono recitate come slogan e proclami privi di senso, però con toni minacciosi che sembrano dichiarare quella volontà politica con sui si afferma l’autorità indiscutibile.

In DICTA I vediamo un attore pronunciare un discorso randomizzato con maestria teatrale, completamente pallido e con le palpebre chiuse su cui sono stati disegnati degli occhi finti.

Al focus principale sull’attore, color seppia, con i suoi occhi disegnati che fissano fuori dallo schermo, si alternano inquadrature di zone del corpo (volto, occhi, lingua) trasformate mediante il trucco in animali, imitati per alterare gli abituali codici di comportamento.

Assumendo il posto della lingua, una mano e poi l’intero braccio si trasformano in un serpente, simile al serpente del latte, non velenoso, anche se molto vicino nell’aspetto al velenoso serpente corallo.

Il sogno sembra la dimensione più pertinente al lavoro di Driant Zeneli, inteso come fantasia e vagheggiamento nel futuro, o ancora come un obiettivo non pienamente concretizzato, la cui storia, il cui racconto costituiscono un valore.

Nato nel 1983 a Shkoder (in Albania) e residente a Tirana, Driant Zeneli sfida i limiti fisici e mentali con narrazioni video oniriche, a volte assurde. Al centro della sua opera vi è la ridefinizione dell’utopia e dell’idea di fallimento, considerati elementi capaci di sperimentare mondi alternativi.

Per Exploratives l’artista espone tre videoproiezioni site-specific e cinque opere fotografiche tratte dal video Maybe the cosmos is not so extraordinary (2019), incentrato su un gruppo di adolescenti di Bulqize (Albania) che scopre una capsula cosmica e segue il viaggio del cromo all’interno di una fabbrica fino alla sua esportazione.

Nella videoproiezione Who was the last to have seen the horizon? (2018), cinque personaggi — quattro ragazzi e un cane —finiscono per perdere l’orizzonte e fluttuare in un ambiente alieno, buio e silenzioso.

Perdere l’orizzonte può essere disorientante, ma significa anche avere la possibilità di rimettersi in gioco, trovando nuovi percorsi.

Mentre It would not be possible to leave planet earth unless gravity existed (2017) racconta un episodio in bilico tra utopia e distopia, dove il protagonista Mario indaga l’area abbandonata di Kombinati Metalurgjik, tramontato progetto industriale del comunismo albanese, col desiderio di volare via per raggiungere un luogo lontano nello spazio. Infine in Those who tried to put the rainbow back in the sky (2012) Zeneli racconta la storia di tre persone e una papera che, trovandosi su una nave di cemento casualmente scovano un pezzo di arcobaleno, forse caduto dal cielo.

In dubbio sulla provenienza dell’arcobaleno e del suo destino, alla fine decidono di rimettere l’arcobaleno in cielo.

Ecco le foto.