Chi andrà in pensione nel 2025 avrà assegni un po’ più bassi rispetto a chi si ritirerà nel 2024.
Secondo quanto dichiara SkyTg24, infatti, è prevista una rivalutazione delle pensioni dell’1,6% secondo i dati forniti dall’Istat sulla base dell’andamento dell’inflazione.
Questo valore è molto più basso rispetto a quello applicato per l’anno 2024, quando era pari al 5,4%.
Risentiva infatti dell’alto livello di inflazione registrato sia nel 2022 sia nel 2023.
Solo le pensioni più basse, comunque, vengono rivalutate applicando il tasso intero.
Ecco alcune simulazioni: un lavoratore di 67 anni, con un montante contributivo di 400.000 euro, percepirà 22.892 euro annui se andrà in pensione entro il 2024 ma 22.432 euro annui dal 2025.
Subisce quindi un taglio di 460 euro all’anno, cioè circa 35 euro al mese.
Nel tempo, i lavoratori hanno progressivamente visto ridursi il valore della pensione, salvo eventuali compensazioni.
Rispetto al 2009 l’assegno pensionistico di un lavoratore-tipo è diminuito di oltre 2.100 euro annui.
Considerando 400mila euro di montante contributivo, si notano infatti questi valori: fino al 2009 la pensione annua era di 24.544 euro, mentre nel 2025-2026 sarà di 22.432 euro.
La rivalutazione delle pensioni si chiama anche perequazione automatica.
È un meccanismo previsto dalla legge italiana che ha l’obiettivo di adeguare gli importi degli assegni pensionistici all’inflazione.
In questo modo si cerca di evitare che il potere d’acquisto dei pensionati venga ridotto dall’aumento del costo della vita.
Le modifiche ai coefficienti sono stabilite seguendo gli indici Istat, che a loro volta monitorano l’andamento dei prezzi e dell’inflazione stessa.
Non tutti gli assegni sono rivalutati allo stesso modo: quelli più elevati subiscono una rivalutazione inferiore rispetto a quelli più bassi.
È un sistema di indicizzazione differenziata introdotto negli ultimi anni, che cerca di assicurare una maggiore equità.
L’aumento viene infatti concentrato su chi riceve somme più basse.
La rivalutazione nel 2024, per esempio, è andata così:
- le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS (circa 2.100 euro lordi al mese) hanno ottenuto una rivalutazione completa;
- le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo INPS (2.100-2.600 euro) hanno ottenuto una rivalutazione al 90% dell’importo totale;
- le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo INPS (2.600-3.100 euro) una rivalutazione al 75%;
- le pensioni oltre 6 volte il minimo INPS (oltre 3.100 euro) sono state invece rivalutate al 50%;
Anche nel 2025 l’aumento sarà applicato seguendo il noto schema di perequazione progressiva.
La rivalutazione sarà perciò piena per le pensioni più basse e avrà invece percentuali decrescenti per quelle più elevate.
Nello specifico:
- le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS (fino a circa 2.100 euro lordi) riceveranno la rivalutazione completa dell’1,6%.
Quindi, per fare un esempio concreto, una pensione di 1.000 euro vedrà un aumento di circa 16 euro al mese;
- le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo INPS (tra 2.100 e 2.600 euro) vedranno un aumento pari al 90% dell’1,6%, cioè circa l’1,44% dell’assegno;
- le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo INPS (tra 2.600 e 3.100 euro) avranno invece un aumento ridotto al 75% dell’1,6%, quindi pari all‘1,2% dell’importo della pensione;
- le pensioni superiori a 6 volte il minimo INPS (oltre 3.100 euro): riceveranno solo il 50% dell’1,6%, cioè lo 0,8% della cifra attualmente pagata da INPS
Le pensioni minime rappresentano un caso particolare.
Nel 2024 hanno già ottenuto una “super-rivalutazione” e l’esecutivo sta valutando ulteriori interventi nella prossima legge di bilancio per sostenere i percettori di trattamenti più bassi.
Per quanto riguarda il 2025, però, la rivalutazione non è ancora stata riconfermata.
Secondo le attuali stime, il valore delle minime dovrebbe passare dagli attuali 614,77 a 625,83: potrebbe però esserci un altro intervento che le porterebbe a quota 650.
Bisogna ancora capire se ci sono o meno le risorse finanziarie.
Intanto, la riduzione dei coefficienti è vista come un ulteriore incremento al disagio economico della popolazione, soprattutto nelle regioni meridionali.
Al Sud, il numero delle pensioni erogate ha infatti superato quello degli stipendi per i lavoratori (lavoro nero escluso).
Nei prossimi anni – spiega la Chia – il sistema previdenziale potrebbe perciò essere molto appesantito, soprattutto considerando che da oggi al 2028 gli italiani in età pensionabile saranno quasi tre milioni.
E di questi solo 2,1 sono al Centro o al Nord.