Crisi di sistema per l’uva da tavola del Metapontino.
E’ sempre il prezzo basso sul mercato d’origine il problema principale che si somma all’invasione di uva spagnola e greca di qualità inferiore alla nostra e con prezzi concorrenziali.
E’ quanto rileva la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori di Matera riferendo le quotazioni registrate dall’Ismea al 24 settembre scorso sui mercati all’ingrosso del Metapontino:
- la varietà senza semi, che è quella più richiesta, è quotata tra i 70 e 90 centesimi al kg (-15,8% rispetto alla settimana precedente);
- l‘uva Palieri tra 45 e 60 centesimi al kg. (meno 9,1%);
- l’Apirene tra 0,55 e 0,70 centesimi (meno 10,7%).
La Basilicata, con oltre 150mila quintali di uva da tavola prodotti ogni anno (l’1,4% della produzione complessiva italiana) , si contende con le Marche lo scettro di terzo polo produttivo dell’uva da tavola in Italia, dopo Puglia e Sicilia.
Una produzione molto lontana dal picco “storico” dei 230mila quintali raggiunto nel 2012 anche se non subiscono significative variazioni le superfici di coltivazione che si mantengono da anni intorno agli 800 ha.
Numeri decisamente inferiori rispetto a quelli della superficie viticola da vino (quasi 6 mila ettari con una produzione media di 185 mila ettolitri di vino).
Per la Cia ci sarebbero gravi responsabilità della Grande distribuzione organizzata che avrebbe determinato questa sofferenza del sistema economico agricolo.
Inoltre, i prezzi medi sono inferiori a quelli dello scorso anno, a cui si aggiunge un aumento della bolletta energetica e dei complessivi costi di produzione fino al 50%.
Troppo gravosi anche i maggiori costi degli oneri sociali a tutela dei lavoratori che le imprese italiane pagano rispetto agli altri competitor europei.
Per non andare in perdita, i prezzi da riconoscere ai produttori dovrebbero aumentare almeno del 20% rispetto a quelli attuali.
Le condizioni di disparità e di totale squilibrio tra chi produce i beni alimentari e chi li distribuisce ai consumatori sta uccidendo l’agricoltura.
Da una parte, infatti, ci sono gli agricoltori per i quali aumenta tutto: costi di produzione, adempimenti, standard qualitativi di produzione, tasse; dall’altro, ci sono le multinazionali della GDO e dell’importazione, per i quali è lecito imporre valori al ribasso da riconoscere ai produttori e, di contro, prezzi altissimi ai consumatori.
I loro profitti aumentano, mentre gli agricoltori e l’agricoltura si impoveriscono.
Sottolinea Cia Matera:
“Contestualmente, bisogna puntare verso il massimo incremento della capacità di esportazione, che oggi garantisce in media il 25-30 per cento del giro d’affari del settore e che ha risentito degli effetti della pandemia.
Il protagonismo degli agricoltori e il rilancio dell’azione dei Gruppi d’interesse economico sono precondizioni per il progetto, ma esso necessita di competenze, assetti organizzativi.
La prima linea di azione è l’organizzazione delle filiere e la regolazione dei mercati, con lo sviluppo di organizzazioni di produttori e reti d’imprese dotate di forti progetti orientati ai mercati nazionali e sempre di più a quelli esteri.
Occorre inoltre il rilancio di organismi interprofessionali in grado di stipulare accordi e contratti quadro tra le diverse componenti della filiera, per una efficace programmazione, per creare valore aggiunto, redistribuirlo equamente, ridurre i costi logistici e di transazione, favorire la trasparenza e campagne per orientare il consumatore a comprare uva italiana”.