L’uva da tavola del Metapontino – secondo i dati Ismea aggiornati al 7 ottobre scorso – è quotata all’ingrosso tra 0,45 e 0,65 centesimi il kg.
La quotazione per la cosiddetta uva Italia (prodotto di massa) tocca il 18,2% in meno in una settimana.
La stessa uva raggiunge anche i 4 euro al kg sui banchi dei mercati cittadini.
Per la Cia-Agricoltori di Matera – analogamente a quanto accade in Puglia:
“siamo ad una situazione insostenibile caratterizzata da prezzi da fame riconosciuti ai produttori, costi di produzione insopportabili, aziende agricole tra l’incudine della GDO (la Grande Distribuzione Organizzata) e il martello di condizioni di assoluta non competitività con i Paesi dove produzione e logistica costano fino al 50% di meno.
La Basilicata, con circa 130mila quintali di uva da tavola prodotti ogni anno (l’1,3% della produzione complessiva italiana), è il terzo polo produttivo dell’uva da tavola in Italia, dopo Puglia e Sicilia.
Una produzione molto lontana dal picco ‘storico’ dei 230mila quintali raggiunto nel 2012 anche se non subiscono significative variazioni le superfici di coltivazione che si mantengono da anni intorno agli 800 ha.
Inoltre, ai prezzi medi in linea con quelli sempre bassi dello scorso anno, si aggiunge un aumento della bolletta energetica e dei complessivi costi di produzione fino al 50%.
Troppo gravosi anche i maggiori costi del trasporto che scoraggiano molti produttori a raggiugere i mercati del Nord Italia ed europei dove per anni il grappolo con gli acini medio-grandi proveniente dal Metapontino è stato molto richiesto dai consumatori.
Per non andare in perdita, i prezzi da riconoscere ai produttori dovrebbero aumentare almeno del 25-30% rispetto a quelli attuali.
Le condizioni di disparità e di totale squilibrio tra chi produce i beni alimentari e chi li distribuisce ai consumatori sta uccidendo l’agricoltura.
Da una parte, infatti, ci sono gli agricoltori per i quali aumenta tutto: costi di produzione, adempimenti, standard qualitativi di produzione, tasse.
Dall’altro, ci sono le multinazionali della GDO e dell’importazione, che con l’alibi dei maggiori, impongono valori al ribasso da riconoscere ai produttori e, di contro, prezzi altissimi ai consumatori.
Contestualmente, bisogna puntare verso il massimo incremento della capacità di esportazione, che oggi garantisce in media il 20-25 per cento del giro d’affari del settore e che ha risentito per due anni degli effetti della pandemia.
Il protagonismo degli agricoltori e il rilancio dell’azione dei Gruppi d’interesse economico sono precondizioni per il rilancio del comparto ortofrutta”.